TartaRugosa ha letto e scritto di:
Irvin Yalom (2015)
Guarire d’amore
Raffaello Cortina, Milano
(traduzione di Serena Lauzi)
Yalom è lo psichiatra che tutti vorremmo conoscere, in caso di necessità. Ottantaquattrenne continua a scrivere le sue esperienze in modo estremamente accattivante: un po’ romanziere, un po’ saggista, un po’ filosofo, un po’ psicologo … una cosa è certa, quando inizi un suo libro non lo molli finché lo hai finito.
Ciò che di lui mi è sempre piaciuto, oltre allo stile di scrittore, è la semplicità con cui tratta le variabili più critiche dell’esistenza umana, nonché il suo modo di porsi verso l’indagine terapeutica. Non dogmatico, mostra una sensibilità straordinaria verso la scelta dei cammini da percorrere per trarre l’altro dall’empasse in cui è incappato. Ed è sempre pronto a mettersi in gioco; a dichiarare talvolta la casualità della chiave giusta per produrre svolte; a confessare le sue stesse debolezze, sia a livello personale, sia nei controtransfert inevitabili della professione; a disporre del confronto con altre modalità di gestione del setting; a essere tutt’uno con le storie altrui.
“ … l’atteggiamento professionale di distaccata obiettività, tanto caro al metodo scientifico, può essere del tutto inappropriato. Il fatto è che noi psicoterapeuti non possiamo dispensare comprensione ed esortare i pazienti a lottare decisi con i loro problemi. Non possiamo parlare in termini di voi e i vostri problemi. Dobbiamo parlare invece di noi e dei nostri problemi, perché la vita e l’esistenza saranno sempre legate a doppio filo alla morte, l’amore alla perdita, la libertà alla paura, la crescita alla separazione. Noi, tutti noi, ci siamo dentro insieme”.
Queste risonanti affermazioni sono il prologo che Yalom offre alla lettura del presente testo, facendo seguire la presentazione di uno dei suoi tanti metodi per portare alla luce le difficoltà esistenziali. Un’unica domanda: “Che cosa vorresti?”, semplice sì nella forma, ma che in ambito psicoterapeutico può scatenare emozioni fortissime.
Yalom, nel suo volume di dieci storie di guarigione, parte da un’ipotesi base che lo guida a scegliere le tecniche terapeutiche più efficaci alla persona richiedente aiuto: tale ipotesi fonda sull’assunto che l’angoscia denunciata sia il prodotto di tutti gli sforzi che un soggetto deve compiere per poter convivere con gli affanni e la durezza dei fatti della vita.
In particolare lo psichiatra mette a fuoco quattro temi principali:
- la morte come evento inevitabile
- la libertà dell’autodeterminazione per compiere le proprie scelte
- la solitudine
- l’assenza di senso
Relativamente alla paura della morte Yalom riflette sulla potenza di due illusioni utili a procurarsi un senso di sicurezza: “Una è la convinzione dell’unicità irripetibile della propria persona, l’altra è la convinzione che esista un mezzo ultimo di salvezza. Seppure sia vero che queste sono illusioni, in quanto convinzioni false e preconcette, in questo caso io non adopero il termine illusione nella sua accezione negativa: esistono infatti credenze universalmente diffuse che compaiono con una funzione ben precisa in parecchi racconti”.
Nel caso di Elva, Yalom descrive una sua regressione durante il percorso di cura causata dallo scippo della borsetta, fatto per lei traumatizzante poiché del tutto inatteso, come più volte sottolinea “Non avrei mai pensato che potesse accadere proprio a me”.
Tale gesto aveva messo in risalto la perdita dell’invulnerabilità perché, come spiega lo psicoterapeuta “sentirsi unici e irripetibili costituisce una delle modalità principali con cui neghiamo la realtà della morte: proprio quella parte della nostra mente che assolve il compito di attenuare in qualche modo il terrore della morte genera in noi la sensazione irrazionale di essere invulnerabili e inviolabili, per cui cose spiacevoli come la vecchiaia e la morte sono un destino riservato agli altri,ma non a noi, come se la nostra personale esistenza si svolgesse al di là e al di sopra delle leggi universali e del destino umano e biologico”.
La borsetta rubata di Elva testimoniava il furto della razionale illusione di essere in qualche modo eternamente protetta.
L’unicità, continua, è un meccanismo derivante dall’interno, mentre la convinzione del mezzo di salvezza è un fattore che proviene dall’esterno: “Per quanto noi si possa vacillare, star male o giungere a un punto limite della nostra vita, in lontananza giganteggia sempre, ne siamo convinti, la figura del soccorritore onnipotente che ci saprà restituire alla condizione precedente. … L’essere umano o afferma la propria autonomia attraverso l’autoaffermazione eroica di sé oppure ricerca la sicurezza attraverso la fusione con una forza superiore. In altre parole, o fonda se stesso oppure si fonde con qualcosa di esterno; o si separa o si congiunge”.
Rispetto al concetto di libertà, immagine positiva per la quale tutti noi lottiamo, Yalom spiega come essa appaia strettamente legata all’angoscia. Infatti libertà “significa che ognuno di noi è responsabile delle sue scelte, delle sue azioni e della vita che fa”.
Una psicoterapia è destinata al fallimento fintanto che la persona continuerà ad attribuire le responsabilità di ciò che essa è all’esterno (il lavoro, le relazioni sbagliate, la società): se la colpa è degli altri, perché dovrei essere io quello che cambia?
“Dal momento che i pazienti tendono ad avere delle resistenze rispetto all’assunzione delle proprie responsabilità, il terapeuta si trova costretto a elaborare tecniche capaci di rendere i pazienti consapevoli del fatto che la causa dei propri problemi va ricercata in sé stessi”.
Il fascino delle sue spiegazioni sta proprio in questo. Dentro le storie dei personaggi che presenta, pian piano si dipana il groviglio emotivo del disagio e appaiono nuove prospettive determinate dal suo indagare, dal suo disvelare, dal suo rischiare nel privato faccia a faccia della narrazione di sé. Nel caso del peso della libertà, la vita di Betty è esemplare: un’irrimediabile obesa che a causa del suo sentirsi vuota verso gli altri intraprende un rapporto patologico col cibo e Yalom, che pure ha in profonda antipatia le persone obese, la aiuta a riprendere il controllo delle sue pulsioni fameliche all’interno di una terapia di gruppo.
Rispetto al tema della solitudine, anche in questo caso Yalom è alla ricerca di come la coscienza di sé possa generare angoscia e di come la tendenza a instaurare rapporti fusionali con qualcuno venga spesso considerato rimedio per sentirsi un po’ meglio. Eppure la solitudine “ha a che vedere con lo spazio invalicabile che separa ogni Io dagli altri, uno spazio che non si annulla neppure in presenza di relazioni interpersonali profondamente gratificanti. … Attenzione quindi all’intensità e all’esclusività del legame con l’altro: non è, come tanti pensano, una prova della purezza dell’amore … Per quanto si cerchi disperatamente di attraversare questa vita a due a due o in gruppo, vi sono momenti, in special modo all’approssimarsi della morte, in cui la verità – il fatto cioè, che si nasce soli e soli si muore – erompe con terribile evidenza”.
Infine, sulla ricerca di senso, “più astratta e volontaria è la sua ricerca, meno sono le possibilità di trovarlo … il senso è un portato dell’impegno e della piena assunzione delle responsabilità” e tale fattore è anche un punto di sfida per il terapeuta, che deve accompagnare il paziente nel reperire il giusto modo di essere per fare cadere l’interrogativo di “dove si trova il senso”.
Su questo tema Yalom non può nascondere le proprie stesse incertezze sul senso della professione di terapeuta.
“Per quanto diffusa possa essere l’idea che i terapeuti guidano il paziente verso fasi prevedibili della terapia con metodo e padronanza della situazione verso un obiettivo altrettanto prevedibile, ciò si dà estremamente di rado. Al contrario, i terapeuti generalmente oscillano, improvvisano e brancolano alla ricerca della giusta direzione. … Nel momento stesso in cui scelgo di entrare a pieno titolo nella vita del paziente, io, il terapeuta, non solo sarò posto d fronte ai suoi stessi problemi, ma dovrò anche essere preparato a vederli in sintonia con la prospettiva del paziente”.
Singolare anche la chiusura del volume: una postfazione scritta a distanza di venticinque anni con la sorpresa della rilettura di un sé più giovane e in perenne formazione e trasformazione.
Che Yalom il senso lo abbia perfettamente trovato è comunque dimostrato dalle sue seguenti parole:
“Termino questa retrospettiva con un’osservazione che il mio Sé più giovane avrebbe trovato sorprendente: lo scenario, a ottant’anni, è migliore di quanto mi aspettassi. Sì, non posso negare che la vita, negli ultimi anni, sia proprio un dannato succedersi di perdite; ciò nonostante, ho raggiunto nel mio settimo, ottavo e nono decennio una tranquillità e una felicità di gran lunga superiori a quanto immaginavo possibile”.
L’ha ribloggato su Connubi interstellari.