CORVUS 2020: l’intervista senza precedenti, di TartaRugosa ai tempi del Covid-19, 23 marzo 2020

In psicologia, un metodo per sviluppare empatia (o anche per far fronte a vissuti
conflittuali di natura fisica, psichica, relazionale, emotiva) si basa sull’assumere la
prospettiva dell’oggetto con cui ci si sente in difficoltà (immaginare come l’altro
viva la situazione, cosa sente, cosa pensa). Metodo tra l’altro utilizzato anche
nella scrittura creativa, quando si raccontano i fatti della storia sulla base
dell’opinione di un certo protagonista.
Solo un mese fa, io e L. siamo state sfiorate dall’idea di frequentare un ciclo di
incontri di scrittura calendarizzati nella giornata di sabato, giorno libero per
entrambe.
Poi è successo quello che è successo e adesso i giorni liberi sono tanti.
Per cui tengo fede al mio proposito di riempire in modo proficuo le ore quotidiane,
cercando pure di tenere a bada momenti di ansia, immaginando (sia pur
faticosamente) di esorcizzare sentimenti pessimistici attraverso l’utilizzo del punto
di vista del soggetto più chiacchierato del momento.

Corvus 2020: l’intervista senza precedenti

Antefatto
C’è un grande fermento a Viruslandia. Da poche ore infatti è rientrato Corvus, il
primo virus del nuovo millennio che ha realizzato con successo il temuto salto di
specie. Avendo girato il mondo in lungo e in largo, si è dichiarato pronto per uno
scoop sensazionale: interloquire con l’umano per svelare il segreto della sua
notorietà.
Ecco che cosa ci ha raccontato.
Perchè il nome Corvus?
E’ il nome in codice che dobbiamo scegliere per contraddistinguere ogni missione
speciale. Corvus mi è stato ispirato dal corvo. Lei sa che la nostra diffusione è in
larga parte anche nelle specie animali e abbiamo appurato che i corvi sono molto
opportunisti, longevi e intelligenti nel sapersi procacciare il sostentamento.
Come funziona il vostro ordinamento gerarchico a Viruslandia?
Il mio popolo non ha come voi una stratificazione sociale complessa, regolata in
base a concetti di superiorità o inferiorità: noi siamo esseri aventi lo stesso diritto
egualitario di crescere e moltiplicarci.
L’organizzazione è molto semplice. Il gruppo più folto è quello dei Pacifici, che
confidano sui loro Sostenitori  (quelli che voi chiamate le Vittime) e conducono un’esistenza relativamente serena,
tant’è vero che a volte nemmeno ci si accorge di loro.
La nostra forza è data dai mentori, ovvero i Reduci. E’ grazie a loro che il nostro
popolo riceve un’istruzione accurata, concentrata in tre uniche materie: la Storia,la Scienza e la Comunicazione.
Gli elementi di base vengono recepiti da tutti, ma i mentori, nel trasmettere la loro
saggezza, selezionano tra gli allievi gli Innovatori, ai quali viene affidato il
compito, per l’appunto, di monitorare costantemente le condizioni ambientali più
idonee per la propria sopravvivenza e suggerire le strategie più semplici da
adottare nel caso sopraggiungessero stravolgimenti inaspettati. I Reduci sono i
depositari sia di imprese ben riuscite, sia di catastrofi che hanno rischiato più volte
il nostro annientamento.
Come dicevo, la nostra indole è pacifica, tuttavia anche a noi capita talvolta di
sbagliare tattica e di suscitare pertanto nel nostro Sostenitore reazioni di dura
rappresaglia.
Sappiamo, la Storia ce lo ha insegnato, che nei nostri rapporti con l’umano
abbiamo subito varie disfatte a causa di elementi tossici appositamente formulati
per metterci a tacere ed è diventato pertanto fondamentale istruire neo-scienziati
per aggirare l’ostacolo.
I Reduci hanno molto a cuore le nuove leve di virus che migliorano il nostro
assetto sociale. Sa, i Pacifici, in quanto tali, non gradiscono i cambiamenti, si
accontentano del loro status, col tempo si impigriscono e portano l’intera
Viruslandia ad appiattirsi e a dimenticare il gusto della sfida di nuove scoperte.
Sia ben chiaro, non è che poiché la nostra organizzazione sociale è semplice, i
nostri caratteri siano indefiniti.
Tutt’altro. Gli Innovatori sono quelli che voi chiamereste disadattati: polemici,
ostili, provocatori, litigiosi. Non è casuale che i Reduci li riescano ad individuare
immediatamente e ad investire sulla loro educazione. I tratti di personalità
vengono ritenuti importanti per la voglia di innovare, sovvertire un po’ le regole,
esplorare nuove frontiere, ma naturalmente occorre smussare i loro aspetti meno
piacevoli che si manifestano nella convivenza sociale.
Personalmente posso farmi da portavoce per tutti gli altri della categoria: la scuola
dei Reduci in qualche modo corrisponde a quella che chiamate casa di
correzione. Con grande pazienza, ma anche molta severità educativa, i nostri
mentori ci mostrano le modificazioni evolutive che ci permettono di popolare il
pianeta in misura assai superiore alla vostra. Inoltre, come superstiti alle grandi
tragedie incontrate nei nostri incontri con l’umanità, al termine del ciclo di studi ci
utilizzano per predisporre piani strategici da vagliare poi in un Grande Consiglio
che nominerà i lavori ritenuti migliori.
Ogni Innovatore sa che se porterà a casa un risultato discreto, sarà riconosciuto
come eroe della comunità. Non aspiriamo a premi di potere, ricchezza, prestigio:
per noi è sufficiente scoprire nuove opportunità per migliorare la nostra qualità di
vita.
Veniamo un po’ all’ultima impresa …

Come spiegavo, gli Innovatori disprezzano il pericolo e, nei lunghi anni di studio,
fanno della loro arroganza una prova di coraggio. Dopo essere stati bistrattati
dalla grande famiglia dei Pacifici, finalmente possono ripagare la fiducia posta nei
loro confronti dai Reduci con azioni di valore inestimabile.
Quando mi è stato comunicato dal Reduce Anziano che mi avrebbero affidato
una missione pericolosa, ne sono stato profondamente onorato, un po’ come per
alcuni della vostra Specie: immolarsi per il bene della patria, come per i vostri
kamikaze, è la massima aspirazione di ogni virus.
Per predisporre il progetto del salto ho ripreso per lungo tempo il ripasso dei
capitoli fondanti di Storia relativi ai nostri precedenti successi e su cui i Reduci
insistono fino a farceli imparare a menadito: spagnola, asiatica, aviaria, suina,
sars, tanto per citare le imprese più recenti.
Quello che ho ben interiorizzato è che occorre essere predisposti ai viaggi e
proprio da qui sono partito per pianificare un percorso. Alcuni elementi facilitanti ci
erano già stati passati: non bisogna né stare fermi, né prendersela comoda, né
manifestare comportamenti belligeranti.
Ho sempre sognato di varcare i confini di Viruslandia e scoprire le bellezze del
mondo. In questo voi ci avete insegnato moltissimo, ma un conto è studiare la
teoria, tutt’altro impatto invece è sperimentare direttamente la conoscenza della
diversità.
In questa missione ho goduto di scenari incredibili, di usanze di cui avevo sentito
qualche racconto, ma sicuramente impossibili da immaginare.
Vede, in questo pure abbiamo dei punti di contatto: spostarsi per voi è essenziale,
e non solo per divertimento. Noi abbiamo bisogno di qualcuno che ci accolga e ci
porti con loro, altrimenti diventerebbe davvero complicato superare le frontiere;
tenga conto che il salto di specie implica una sorta di salto nel buio. Per questo
abbiamo delle solide basi scientifiche per verificare man mano le soglie tollerabili.
Però avete scelto persone la cui età e condizioni fisiche non consentono grandi
spostamenti….
Ha ragione. Infatti uno dei motivi del mio rientro è proprio legato alla necessità di
registrare le curve delle età e del sesso e paragonarle tra i vari Paesi, perché, ma
questo già lo sapete, nei vostri territori sussistono parecchie disparità. Mi era
arrivato il messaggio che la vita media dell’umano è in aumento in parecchie zone
del mondo e questo è stato un indicatore che mi ha stimolato a scegliere una
categoria che già si era mostrata forte nel corso del tempo.
Nel materiale che ho raccolto, ho però segnalato che ci sono lacune nella nostra
materia di Scienze e quindi dobbiamo aggiornarla – un po’ come fate voi con
Wikipedia – perché l’età dell’anziano non è predittivo di vittoria.

Guardi che anche per noi è una tragedia la morte del nostro Sostenitore: se
muore lui, moriamo anche noi.
In questo evidentemente sono stato lungimirante, perché ho predisposto la nostra
moltiplicazione prevedendo che ogni soggetto potesse regalarci a 2,5 soggetti
diversi. Ma, e mi scusi se sono un po’ narcisista, la mia intelligenza ha fatto sì che
man mano che i nuovi virus si sviluppavano, migrassero con un insegnamento
fondamentale: cercare luoghi molto affollati e lasciar perdere anziani soli.
Per noi la Comunicazione è essenziale. Certo ammetto che sono stato anche un
po’ fortunato: sapesse quante persone avrei scartato in base all’età e le ho poi
invece ritrovate su navi ospitanti più di tremilacinquecento passeggeri; agli stadi
per assistere alle competizioni sportive; ai centri di ritrovo a giocare a carte, a
ballare; negli aeroporti e sui treni; nei cinema e nei teatri… Chi avrebbe mai
immaginato che in questo loro lodevole attivismo nascondessero nel corpo difese
molto basse. Abbiamo avuto anche noi parecchi decessi.
Però con i giovani e i bambini siete stati generosi
Guardi, per noi la generosità non esiste. Noi dobbiamo solo aumentare di numero.
Evidentemente giovani e bambini sono i Sostenitori ottimali ed è questo il
messaggio che cerco di trasmettere, sperando che i neovirus mi diano ascolto.
I veri Sostenitori sono proprio quelli che ci aiutano nel nostro processo di
moltiplicazione. Gli adolescenti, nelle loro manifestazioni, sono un po’ come i
nostri Innovatori prima della rieducazione: un po’ ribelli e menefreghisti, con tanta
energia e desiderosi di nuove avventure. Alcuni di loro ci sono stati proprio di
aiuto, anche se non posso fare a meno di mandare un ringraziamento a chi,
nonostante il pericolo, ha sfidato la sorte è si è spostato, trasportandoci in zone di
potenziale sviluppo.
Si ritiene un vincitore?
No, assolutamente. Già abbiamo visto che alcune parti del mondo sono diventate
off limits. Nel momento in cui voi non vi incontrate più, per noi è un’ecatombe.
Ecco perché una delle nostre parole chiave è Velocità: prima arriviamo in spazi in
cui esistono contatti di prossimità, più possibilità avremo di resistere ancora per un
po’.
Ma anche voi state imparando a comunicare quasi bene quanto noi.
Prima o poi quindi finiremo il nostro ciclo. Vede, il mio rientro a Viruslandia è
strategico. Ora che ho capito quali sono i mutamenti necessari, posso già da qui
inviare i compagni Innovatori a colpo sicuro sui nuovi Sostenitori.
Ultimamente ho infatti scoperto che ci sono parti del mondo in cui gli umani non
conoscono e non hanno i mezzi per tenerci a bada. Quindi, per concludere,
sicuramente questa missione terminerà, ma sarà necessario ancora del tempo.
Allora si ritene uno sconfitto?

No. Se lo ricorda cosa le ho detto all’inizio? Noi abbiamo i nostri Reduci che
lavorano incessantemente. Il mondo non finirà per noi, come non finirà per voi.
Avremo tutti un bel da fare dopo il nostro passaggio, ma questo è sempre stato il
nostro scopo esistenziale. E il tempo ce lo ha sempre dimostrato. Quando meno
uno se lo aspetta, noi arriviamo.

guardiamo Gilda e alla saggezza della sua lentezza e  capacità di resistere… , 20 mar 2020

carissima ****(e naturalmente *** e ***),
condivido ogni tuo pensiero, dal primo all’ultimo.
E proprio perchè cerco sempre di tenere una visione ampia – con tutti i limiti della mia ignoranza – continuo ad essere convinta che la vera tragedia che sta smuovendo il mondo (occidentale) è che è stato messo in scacco il delirio di onnipotenza dell’essere umano.
Arcisicuri di potercela fare sempre,  all’arrembaggio della conquista di altri spazi al di fuori della Terra, alla sperimentazione di un’intelligenza artificiale, ma, al tempo stesso, del tutto incuranti di quello che da decenni ci stanno raccomandando: il pianeta soffre, non è una risorsa inesauribile. Ci voleva una ragazzina autistica per cercare di richiamare l’attenzione su questi temi: pare un’ironia della sorte pensando alle folle sostenitrici delle sardine …
E ora, dopo giornate interminabili a cercare di capire che cosa fare, ad accusare le manovre economiche, a dire e negare, professare il giusto e l’ingiusto, il mondo sta collassando di fronte a un virus.
Non poterlo controllare è uno smacco.
Soprattutto perchè stavolta riguarda proprio tutti. Quando succedono terremoti, alluvioni, tsunami, (con un numero spaventoso di vittime) la nostra pancia ne viene ferita, ma se non ci riguarda da vicino, piano piano passa e resta solo l’oggi di chi è colpito e deve fare  conti con la ricostruzione.
 Ben inteso, percepisco il clima drammatico né lo sottovaluto, però non posso fare a meno di pensare anche ad altre notizie: prima, guardando la tv, uno spot pubblicitario ha messo in onda il filmato in cui si dichiara che muore un bambino denutrito ogni 15 secondi.  FIno a poco tempo fa, notizie riguardo allo scioglimento dei ghiacci, sembravano un muto appello a invitarci a fare qualcosa prima che la situazione diventi un’emergenza.
Speriamo che ora che siamo a casa, davvero un pensiero di più ampio respiro ci faccia riflettere sui nostri stili di vita e recuperare un senso di solidarietà verso la  terra che ci ospita e verso chi non ha ancora risorse per la propria sopravvivenza.
In tutto questo, ovvio prevale anche il sentimento della paura, ora che ci siamo accorti della nostra impotenza.
Che dirti, guardiamo gilda e alla saggezza della sua lentezza e  capacità di resistere… probabilmente a quest’ora le sue sorelle inizieranno a uscire anche ad amaltea.
speriamo di rivederle primo o poi…
baci
***
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ANCHE LE COSE NEL LORO PICCOLO SI INCAZZANO   Il self-help degli arrabbiati (da una seduta di gruppo)

Conduttore: 

“ … perché è importante dare voce alla propria rabbia, non tenerla costretta e avvinghiata dentro di sé.

Amici, non dobbiamo permettere alla rabbia di farla da padrona.

Riprendiamoci la nostra esistenza. Urliamo la nostra ira, la nostra furia, la nostra collera.

Non lasciamo che la rabbia lasci all’immaginazione solo la schiuma del mare.

Svecchiamo questo luogo comune d’altri tempi: diamole altri motivi, altre esche, altri pretesti. Facciamo conoscere i nostri sentimenti, affinché un giorno tutti possano sentirsi legittimati nell’affermare “sono furibondo come un thermos”.

Forza! Chi vuole iniziare? Chi per primo racconta una delle sue rabbie peggiori?”

 

L’inviperito cavolo: 

“Se devo strillare la mia rabbia, ebbene sì, è ora di finirla di dire che sotto di me nascono i bambini. Siamo nel 2015, per Dio. E la rivoluzione sessuale è passata da un pezzo”.

 

Interviene la raffinata farina:

“Almeno a te aggiungono qualcosa, cosa dovrei dire io, invece, che vedo sottrarre una parte preziosa dei miei nutrimenti? Altroché non arrabbiarsi! A causa dei persecutori del glutine vedo la mia povera polvere bianca deprivata già all’origine, quando gli sventurati chicchi di frumento vengono messi in soluzioni acquose, macinati e trasformati in amido da separare da ciò che resterà di me”.

 

Prende coraggio l’introverso thermos:

“Il momento più rabbioso della mia vita è stato quando sono stato usato come pappagallo. Ve lo immaginate sentirsi pisciare dentro per verificare se la pipì dopo due minuti manteneva la temperatura a 37 gradi?”

 

La formica stizzita: 

“Non parlarmi di caldo … sapessi la rabbia di essere passata alla storia perché sono più risparmiatrice della cicala, mentre la vera, dura fatica è lavorare e sopportare il suo chiassoso e interminabile frinio nelle giornate di sole cocente!”.

 

L’inflessibile ghiaccio: 

“Beh, se la mettiamo in termini di gradi, cosa dovrei dire io quando mi sento definire bollente? Alla faccia delle figure retoriche. Da gelarle tutti”.

 

“Non credo valga la pena arrabbiarsi per un ossimoro. Invece per me la rabbia, quella autentica, è legata allo sdegno di sentirmi cambiare identità ed essere spacciato per vera pelle, quando invece sono di pura plastica e non ho mai avuto sulla coscienza vitelli, serpenti, tartarughe o coccodrilli” – sbotta il portafogli animalista.

 

“Ah certo, come ti capiamo” – condividono i flessuosi capelli – “succede anche a noi la stessa cosa quanto sentiamo decantare la nostra bellezza e al botta e risposta ‘Sono naturali? Ma, certamente!’ vorremmo sbraitare: ma per favore, non ne possiamo più di extension, tinte, meches e colpi di sole!”.

 

La meditabonda tristezza:

“Caro portafogli, hai un bel dire che non vale la pena di arrabbiarsi per un ossimoro. Ma io sono un’emozione del tutto opposta alla gioia e alla felicità. Per cui come non fremere di irritazione al cantare di un tal De Gregori ‘quell’allegra tristezza che ci hai…’”.

 

Il giornale intellettuale:

“Rabbia per rabbia, non sopporto quando mi appallottolano, mi immergono nell’acqua e mi ficcano dentro le scarpe per mantenerle più larghe e morbide. Vi rendete conto? Io che nasco per arricchire la testa, finisco per dare sollievo ai piedi”.

 

“Io invece mi infurio quando devo fare da pilastro al ponte” – spiega il molare ricoperto – “di punto in bianco mi trapanano e mi riducono a un moncone per poi mettermi sopra un vestito di ceramica”.

 

Conduttore:

“E tu placido, non hai nulla da dire?”

“Sulla rabbia? Ho ascoltato tutti con attenzione e, filosoficamente, vorrei trasmettervi il mio insegnamento: io non conosco la rabbia, perché quando ci sono io non c’è la rabbia e quando c’è la rabbia non ci sono io …”.

ABBR. E OVVERO “L’ANATEMA DELLA PAROLA”

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E’ giunto il momento di metterci un punto. Nel senso del punto fermo, quello che chiude un periodo prima di passare ad altro argomento.

Non il punto che non è seguito dalla maiuscola, che non richiede di inserire uno spazio, che gioca ad alternarsi fra singole lettere. Odio quel tipo di punto.

Attenta alla mia stessa essenza e brucia ogni mia libertà.

Potrò, finalmente, dar voce ai miei diritti? Di esistere, di allungarmi, di estendermi, di stiracchiarmi, di dispiegarmi, di srotolarmi nelle mie diverse lunghezze senza dover più incespicare nei punti che mi (s)troncano o sentirmi contratta in un’accozzaglia dura e impronunciabile di consonanti troppo promiscue?

Senza dovermi scervellare per capire se s.s. sta per strada statale, sua santità o Schutz-staffein; se p.s sta per pubblica sicurezza, post-scriptum o previdenza sociale, se a.c. sta per anno corrente, avanti Cristo o assegno circolare?

Basta. Reclamo il ritorno e la vicinanza degli amici virgola e punto e virgola, del punto esclamativo e di quello interrogativo, i buoni, vecchi e cari segni di interpunzione utili a regolare il mio suono e quello delle mie sorelle che con me costruiscono il senso delle frasi, del discorso, del linguaggio.

Voglio ritornare a essere tutta, intera, globale e illimitata.

Esigo la rotondità della a e della o, l’esilità della i, l’occhiello della e, la pervietà della u.

Pretendo il mio potere definitorio e la chiarezza di ciò che esprimo, senza ricorrere a barbarismi, sigle o acronimi che deturpano il valore del mio sussistere.

Basta una volta per tutte all’osceno utilizzo delle parentesi, quelle che un tempo racchiudevano i puntini di sospensione atti a segnalare, per citare un esempio, l’omissione di un passo all’interno di una citazione.

Da quando sono arrivate le insulse faccine che presumono di raffigurare le espressioni facciali umane, le sagge parentesi sono diventate rappresentanti di sensazione emotiva, anteposte o postposte ai due punti, ai trattini, a singole lettere alfabetiche o apostrofi.

:’-) piango amaramente. No, anzi, macché 😦 sono proprio contrariata.

Cedere il passo a segni grafici per raccontare l’inesauribile gamma delle emozioni?

S’, proprio loro, le emozioni, vita e colore della nostra esistenza, così inattese e impreviste, fugaci e mutevoli nelle loro variabili sfumature, fonti di impaccio o di  ispirazione sia negli abissi della disperazione che nelle vertigini della speranza.

ç_ç per dire triste? E come la  mettiamo con le diverse varianti della tristezza? Come disegniamo parole come pena, dolore, cupezza, malinconia, autocommiserazione, afflizione?

E’ solo la parola che dipinge, rischiara, rabbuia, intensifica, indebolisce, accentua, attenua, spiega e interpreta la complessità degli eventi e dei vissuti.

E non mi vengano a raccontare che le emoticon hanno rivoluzionato il modo di scrivere e di comunicare, solo perché hanno l’obiettivo di raggiungere l’empatia del faccia a faccia nelle tastiere informatiche.

Non mi si dica, per favore, che i nativi digitali sanno andare dritti al cuore , senza dilungarsi in sorpassate sfumature lessicali e semantiche.

Solo io, la parola, posso raccontare.

Solo io, la parola, posso rivelare.

Solo io, la parola, posso essere parlata o scritta.

Solo io, la parola, nel momento in cui sono detta, letta o scritta, divento creatura vivente, pulsante, eterna.

Senza interruzioni, senza blocchi, senza annullare l’attesa.

Mi amo. Forse sono egocentrica, o forse un po’ senile. Vivo nel rimpianto delle tavolette di cera, dei rotoli di papiro, dei fogli di carta.

Sono vecchia, ma non voglio morire.

Gioca con me, uomo, e condividi la mia protesta. Urlami:

“Ti guardo con riguardo”.

“Dò un senso al tuo dissenso”.

“Mi gusto il tuo disgusto”.

“Fiuto il tuo rifiuto”.

Riprenditi la parola, per favore. Fammi ancora sentire unica, insostituibile, preziosa.

Perché finché ci sono io, ci sarai anche tu.

Indissolubilmente uniti prima che il tuo cervello diventi un definitivo ammasso di neurochip.

Scampato pericolo

Le lancette della sveglia segnavano le quattro e trentacinque. Non così presto e, forse, nemmeno così tardi per dire “Vado”.

Una debolissima luce filtrava tra le strisce delle tapparelle, più occupate a resistere alle estenuanti raffiche del vento che preoccupate a seguire il percorso del sole.

Il rumore era infernale in quell’albeggiare tardo primaverile e le parole “Speriamo che la brace si sia spenta”,  pronunciate da Laura nel dormiveglia, erano state sufficienti a innescare il pensiero paranoico di Federico.

Una frase di per sé innocua, ma proprio perché apparentemente tale senz’altro occultava un potenziale pericolo. Federico ripassava le parole ad una ad una: speriamo (confidare in un esito favorevole di qualcosa); brace (legna che arde senza sprigionare fiamma); spenta (che non è accesa). E più il vento soffiava e più la ripetizione di quelle singole parole assumeva forme cupe e distorte.

La brace prendeva corpo e danzava liberata dal vento; decine di piccoli tizzoni  si svegliavano dal torpore e, alimentati dall’ossigeno, davano vita a un vortice di esili lingue fiammeggianti che, l’una appresso all’altra, si rincorrevano nell’arida vegetazione circostante.

Vado”.

La strada era quasi deserta. Se non fosse stato per quel pensiero martellante della brace, sarebbe stato sociologicamente interessante analizzare il passaggio dei pochi mezzi nella penombra del giorno che voleva arrivare.

Sul breve percorso che dalla casa di città conduceva alla residenza lacustre il traffico era ancora addormentato: il furgoncino della Centrale del Latte, il camion della raccolta dei rifiuti differenziati, qualche auto di probabili lavoratori turnisti.

Dietro il profilo dei monti lentamente si stagliava una luce che solo Rohmer avrebbe potuto romanticamente definire “raggio verde”. In realtà gli occhi di Federico assistevano all’innalzamento di mulinelli ardenti, lingue arroventate e colonne infuocate il cui fumo, a contatto con l’umidità dell’aria, spargeva raggi rossi in ogni direzione del cielo.

Il piede schiacciò nervosamente l’acceleratore, come se l’aumento della velocità potesse frenare l’avanzamento delle fiamme che sicuramente, adesso, avevano superato il contenitore di latta adibito alla bruciatura delle fascine, varcato il confine de del giardino, aggredito gli alti cedri del libano, arso completamente il secco sottobosco della tenuta dei Rossi e, infine, allertato il pigro risveglio degli ignari paesani, più inclini all’aroma del caffè del bar del borgo, che all’acre odore del devastante incendio.

Quando la macchina si arrestò nel parcheggio, Federico, tutto sudato, cercò le tracce di quel che sopravviveva, mentre l’ossessiva ideazione ora era rivolta alle sicure denunce, al risarcimento degli ingenti danni, al pignoramento dei beni, a un futuro sul lastrico e, chissà, forse anche alla carcerazione per l’accusa di incendio doloso.

In realtà non era successo proprio niente. Una brezza amichevole annunciava un cielo terso e privo di angoscianti spettri color porpora. La brace giaceva grigia, ancora umida dopo le secchiate d’acqua che Federico non mancava mai di gettare sul residuo di fuoco prima di tornare in città.

Le cinque e quaranta. Il tempo per rincasare e ritornare nel tepore del letto, dove Laura, al contrario, si apprestava all’inizio della giornata.

Tutto a posto”.

Tutto a posto cosa?

Niente, niente”.

Pessima consigliera, la paranoia.

TartaRugosa legge TartaRugosa (1974): La bolla di sapone e il fiocco di neve

TartaRugosa legge TartaRugosa

(1974)

La bolla di sapone e il fiocco di neve

Una bolla di sapone

chi ti incontra un dì per caso?

Un fiocco di neve che per un istante

Sta in bilico s’un vaso

La bolla di sapone

si sente presto innamorata,

ma il fiocco di neve …

di uno sguardo nemmeno l’ha degnata.

La bolla di sapone

cerca invano di farglisi accanto:

il fiocco di neve gli amici suoi

ha raggiunto nel vasto manto.

La bolla di sapone,

con gran disperazione,

scoppia in pianto

mesto e desolato.

Ma la sua origine dovuta è al fato

e la bolla, ad un tratto,

svanisce.

E il grande amore, nato lì per lì,

sparisce.