ANCHE LE COSE NEL LORO PICCOLO SI INCAZZANO   Il self-help degli arrabbiati (da una seduta di gruppo)

Conduttore: 

“ … perché è importante dare voce alla propria rabbia, non tenerla costretta e avvinghiata dentro di sé.

Amici, non dobbiamo permettere alla rabbia di farla da padrona.

Riprendiamoci la nostra esistenza. Urliamo la nostra ira, la nostra furia, la nostra collera.

Non lasciamo che la rabbia lasci all’immaginazione solo la schiuma del mare.

Svecchiamo questo luogo comune d’altri tempi: diamole altri motivi, altre esche, altri pretesti. Facciamo conoscere i nostri sentimenti, affinché un giorno tutti possano sentirsi legittimati nell’affermare “sono furibondo come un thermos”.

Forza! Chi vuole iniziare? Chi per primo racconta una delle sue rabbie peggiori?”

 

L’inviperito cavolo: 

“Se devo strillare la mia rabbia, ebbene sì, è ora di finirla di dire che sotto di me nascono i bambini. Siamo nel 2015, per Dio. E la rivoluzione sessuale è passata da un pezzo”.

 

Interviene la raffinata farina:

“Almeno a te aggiungono qualcosa, cosa dovrei dire io, invece, che vedo sottrarre una parte preziosa dei miei nutrimenti? Altroché non arrabbiarsi! A causa dei persecutori del glutine vedo la mia povera polvere bianca deprivata già all’origine, quando gli sventurati chicchi di frumento vengono messi in soluzioni acquose, macinati e trasformati in amido da separare da ciò che resterà di me”.

 

Prende coraggio l’introverso thermos:

“Il momento più rabbioso della mia vita è stato quando sono stato usato come pappagallo. Ve lo immaginate sentirsi pisciare dentro per verificare se la pipì dopo due minuti manteneva la temperatura a 37 gradi?”

 

La formica stizzita: 

“Non parlarmi di caldo … sapessi la rabbia di essere passata alla storia perché sono più risparmiatrice della cicala, mentre la vera, dura fatica è lavorare e sopportare il suo chiassoso e interminabile frinio nelle giornate di sole cocente!”.

 

L’inflessibile ghiaccio: 

“Beh, se la mettiamo in termini di gradi, cosa dovrei dire io quando mi sento definire bollente? Alla faccia delle figure retoriche. Da gelarle tutti”.

 

“Non credo valga la pena arrabbiarsi per un ossimoro. Invece per me la rabbia, quella autentica, è legata allo sdegno di sentirmi cambiare identità ed essere spacciato per vera pelle, quando invece sono di pura plastica e non ho mai avuto sulla coscienza vitelli, serpenti, tartarughe o coccodrilli” – sbotta il portafogli animalista.

 

“Ah certo, come ti capiamo” – condividono i flessuosi capelli – “succede anche a noi la stessa cosa quanto sentiamo decantare la nostra bellezza e al botta e risposta ‘Sono naturali? Ma, certamente!’ vorremmo sbraitare: ma per favore, non ne possiamo più di extension, tinte, meches e colpi di sole!”.

 

La meditabonda tristezza:

“Caro portafogli, hai un bel dire che non vale la pena di arrabbiarsi per un ossimoro. Ma io sono un’emozione del tutto opposta alla gioia e alla felicità. Per cui come non fremere di irritazione al cantare di un tal De Gregori ‘quell’allegra tristezza che ci hai…’”.

 

Il giornale intellettuale:

“Rabbia per rabbia, non sopporto quando mi appallottolano, mi immergono nell’acqua e mi ficcano dentro le scarpe per mantenerle più larghe e morbide. Vi rendete conto? Io che nasco per arricchire la testa, finisco per dare sollievo ai piedi”.

 

“Io invece mi infurio quando devo fare da pilastro al ponte” – spiega il molare ricoperto – “di punto in bianco mi trapanano e mi riducono a un moncone per poi mettermi sopra un vestito di ceramica”.

 

Conduttore:

“E tu placido, non hai nulla da dire?”

“Sulla rabbia? Ho ascoltato tutti con attenzione e, filosoficamente, vorrei trasmettervi il mio insegnamento: io non conosco la rabbia, perché quando ci sono io non c’è la rabbia e quando c’è la rabbia non ci sono io …”.

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