TartaRugosa ha letto e scritto di: Massimo Mantellini (2020), Dieci splendidi oggetti morti, Einaudi, Torino

Ho scoperto di vivere in un cimitero. Seppur splendido, sempre cimitero rimane. Nella mia pur primitiva lentezza, ci ho messo del tempo per accorgermene e il libro di Mantellini sicuramente me ne ha dato ulteriore conferma.

Ragiona infatti sulla scomparsa di oggetti che tutt’ora mi tengono robusta compagnia e anche se alcuni di loro, effettivamente, non hanno più una posizione di primo piano, ugualmente faticano a rientrare nell’alveo dei ricordi trapassati.

Nonostante l’autore sia fra i maggiori esperti della rete internet italiana, colloca la sua comparsa al mondo nell’epoca in cui quelle cose mutate facevano parte integrante del quotidiano e la cui trasformazione, quasi ignota alla generazione Z, racconta come noi stessi siamo cambiati con loro.

Lo fa con simpatico piglio autobiografico, riportando fra le righe le medesime impressioni di chi ne condivide periodo di nascita.

Come, per esempio, non recuperare l’immagine delle mappe:

Il fascino delle mappe stradali, la qualità della loro stampa, la complessa ripiegatura che consentiva di tenere quei fogli enormi nelle tasche laterali dell’auto o nel cassetto del cruscotto, il loro ruolo rassicurante racchiuso nella frase ‘Fermiamoci un attimo a controllare la carta’.”

che costituivano elemento essenziale per qualsiasi trasferimento, se non primo oggetto acquistato in edicola qualora lo spostamento non fosse determinato da un viaggio di piacere ma, spesso, di lavoro. Il gesto del dispiegamento e del ripiegamento non di rado era fonte di discussione per il timore che una lacerazione ne impedisse un buon uso e ho ancora bene in mente la rappezzatura fatta col nastro adesivo di quelle mappe maggiormente consultate e usurate dal tempo.

Ancora oggi esse esistono nella tana tartarughesca, ben archiviate in dossier divisi per regioni o per stati, simbolo delle esplorazioni effettuate nel corso degli anni e custodite, probabilmente per sentimentalismo, in solaio.

L’abdicazione della carta stradale in favore dei consigli vocali del navigatore non ha però condotto a una definitiva rinuncia del cartaceo. Così come narra in divertenti aneddoti l’autore, la testardaggine del navigatore a far intraprendere strade inesistenti spesso stimola il viaggiatore al suo spegnimento. In casa nostra il Tom Tom (è quello il modello in nostro possesso e chissà se ancora si chiama così) giace in fondo a un armadio.

E il telefono?

Tutti i telefoni oggi sono tastiera e altoparlante assieme, ma fino a quando Ericsson non commercializzò il suo Cobra nel 1955 gli apparecchi per telefonare erano composti di due parti ben distinte unite da un filo: una base per comporre il numero e una cornetta per parlare e ascoltare.

Noi TartaRugosi siamo sufficientemente “evoluti” da non possedere più il nostalgico telefono a disco in cui il vrrr della rotazione diventava più lungo man mano che le cifre crescevano, ma non al punto dall’aver rinunciato al telefono fisso che ancora troneggia sulla scrivania, snobbando un po’ il più moderno cordless dell’anticamera munito di segreteria.

A farla breve “quel legame molto saldo e immediato” del cellulare (che è diventato una protesi umana) conserva per noi due un aspetto “pericoloso, proprio in relazione al suo spirito riassuntivo, alla sua pretesa di contenere tutto, di esser luogo primario non solo delle nostre comunicazioni, ma anche della nostra memoria, della cultura, e della nostra capacità di essere informati”.

Trovano spazio nel libro anche la penna e la lettera. Relativamente alla prima:

Da un punto di vista puramente autoptico credo si possa concordare sul fatto che la penna d’oca, quella a inchiostro, la penna a sfera, l’elegantissima matita di Nabokov e qualsiasi altra tecnologia per scrivere a mano possano considerarsi oggi del tutto marginali”.

E in accordo, a proposito della lettera:

Mentre le lettere di carta, oggetti morti, certo, ma anche raffinati e profumati contenitori di sorprese, erano comunicazione sintetica e intelligente, adatte a descrivere in poche righe intere storie, … gli oggetti che sono venuti in seguito, i loro assassini, non avranno nessuna di queste caratteristiche”.

l’autore ci informa dell’esito di studi scientifici “concordi nel dire che la scrittura manuale non è una semplice abilità tecnica ma una modalità raffinata per connettere il pensiero e le capacità mnemoniche”. Passati dalla carta e penna alla tastiera si è evoluto anche il linguaggio: nuove sigle, abbreviazioni, emoticon che stanno surclassando pure la nostra capacità di riconoscere, nominare, descrivere emozioni e stati d’animo.

Apprendo, leggendo il libro, che anche la posta elettronica è morta (mio grande passo di modernismo a sfavore delle amate penne e blocchi ad anelli): incredibilmente è troppo lenta! Servono velocità e tempo reale, a questo rispondono i social Messenger, Whatsapp, Instagram e altri nomignoli simili. Sospiro pensando che ancora conservo le buste aeree, quelle leggere con i tasselli rossi e blu fatte apposta per viaggiare più veloci oltreoceano…

Troviamo anche il capitolo dedicato alla macchina fotografica:

Un oggetto solido e pesante .. ricordo i rullini, prima in bianco e nero e poi, magicamente, a colori; il rumore della ghiera metallica attraverso la quale la pellicola veniva trascinata dentro il meccanismo per prepararla alo scatto successivo; l’abitudine di ripetere due volte il medesimo scatto per timore che una foto importante potesse poi, durante lo sviluppo, risultare mossa o non correttamente esposta”.

Aggiungo, ricordando il passato, che le vacanze estive prevedevano l’acquisto di due pellicole da 36 e che delusione quell’anno in Yugoslavia, quando scoprii, all’apertura dell’apparecchio, che la pellicola non si era agganciata ai dentini, restando quindi intonsa e priva delle immagini che volevo immortalare.

Oggi, nella nostra mutazione da homo sapiens a homo videns, la macchina fotografica non esiste più, essendo stata incorporata nel cellulare – presidio di massa – fatto salvo qualche amatore o professionista, convertito però al digitale.

Le mie 72 foto degli anni addietro fanno letteralmente sorridere: guardo un po’ infastidita il gesto virale di tutti i conoscenti o amici di “sfogliare” il touchscreen, scorrendo centinaia di scatti, per trovare quello che vuoi mostrare senza mai riuscirci.

Spazio anche al libro, oggetto che si pensava morto, ma che morto non è!

I libri di carta portano le tracce di chi li legge e le conservano nel tempo. Un’orecchietta in una pagina, una macchia di marmellata, qualche briciola rimasta intrappolata qua e là, sono il segno tangibile di una relazione affettiva che nessun oggetto elettronico potrà mai offrire. … è l’essere oggetto, l’essere cosa a renderlo un così potente catalizzatore sentimentale”.

Come continua Mantellini:” qualcosa nel processo di sostituzione digitale dei nostri terminali di lettura è andato storto”. Nel mio processo di lenta modernizzazione ho provato a dedicarmi a Kindle, ma l’assurda numerazione delle pagine, il desiderio di sottolineatura, il bisogno di ritornare indietro per rileggere un certo passo mi hanno impedito di restare fedele a questo accrocchio, anche lui giacente in qualche remoto angolo dello studio. Confido nella resistenza dell’oggetto più numeroso esistente nella mia tana.

Stessa cosa dicasi per i giornali, drammaticamente annunciati in estinzione:

La necessità di dispiegarlo rumorosamente, il dover prevedere una superficie piana e ampia per appoggiarlo, l’assoluta precarietà di quei fogli, pronti a perdere reciprocità al più piccolo movimento, non potevano farla franca per sempre”.

Nella tana di TartaRugosi tali oggetti cartacei imperversano, formando quotidianamente pile su cui giocano i gatti, che evidentemente trovano nel profumo della carta stampata uno stimolo decoroso per le unghie. Che uno potrebbe pensare che in questo caso la rivoluzione va a favore della stampa digitale. Macchè. I vecchi lettori del quotidiano sono stati catturati, ahimé, dai social network, il nuovo mondo in cui qualsiasi gettata d’inchiostro può avere valore se coincidente con il tuo pensiero, senza darti la pena di verificare la validità delle fonti. Communities in grado di influenzare gusti, opinioni, credenze in maniera così subdola che quando uno ci è cascato dentro, nemmeno se ne accorge. L’attuale epoca pandemica ne dimostra perfettamente l’evidenza.

Altro oggetto dato per morto è il disco:

A un certo punto i dischi in vinile sono scomparsi. In parte è accaduto perché erano oggetti scomodi … forse si è deciso che erano anche oggetti non solo scomodi ma anche brutti, spiacevoli agli occhi e al tatto, oltre che ingombranti e difficili da usare, … Troppo grande, sottile come una pizza margherita, fragile, attira-polvere, facilissimo ai graffi, da rigirare dopo una trentina di minuti di ascolto”.

Solo in tempi abbastanza recenti ci siamo disfatti delle musicassette, essendo introvabili i supporti necessari per ascoltarle, ma nella nostra tana CD e dischi resistono impavidi, nonostante ormai la musica sia del tutto immateriale e sparsa nell’aria, o meglio nelle nuvole. Come le nuvole, c’è il rischio però che siano effimere, poiché la pretesa di “registrare il mondo intero dentro gli ambienti elettronici” può riservare la sorpresa di non ritrovarli più, per ragioni diversissime, inspiegabili, ma non impossibili.

Mantellini cita infine il silenzio e il cielo, che oggetti non sono, ma nei cui confronti è cambiata la nostra percezione.

Del silenzio ne parla anteponendo il rumore di fondo.

Esiste un sottofondo al quale siamo abituati che è andato modificandosi nel tempo (il brusio e i decibel sono aumentati ma paradossalmente comunque di silenzio stiamo parlando); sempre più spesso questo spazio viene invaso e interrotto”.

E del cielo ci ricorda:

Non ci spaventa e non ci preoccupa più l’immensità scura e silenziosa sopra di noi, non ispira più alcuna meditazione, non scatena angosce, perché noi, ormai, quell’immensità non abbiamo più occasioni di osservarla”.

Due beni altrettanto – se non i più – importanti per dare senso alla vita. Un’esistenza, la nostra, dove raccoglimento e pensiero diventano sempre più fuggevoli, incalzati dalla velocità di produrre nuovi oggetti, e dove ci siamo pure dimenticati di guardar cadere le stelle, essendo il desiderio anch’esso oggetto ormai defunto.

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