TartaRugosa ha letto e scritto di: Philip Roth (2010) L’UMILIAZIONE, Einaudi Traduzione di Vincenzo Mantovani

TartaRugosa ha letto e scritto di:

Philip Roth (2010)

L’UMILIAZIONE, Einaudi

Traduzione di Vincenzo Mantovani

2016-06-05_113625

Sulla quarta di copertina l’indicazione “Roth aggiunge un altro inquietante tassello all’opera dei suoi ultimi anni”.

Ci sono degli argomenti “scomodi” da affrontare nella scrittura e la parola suicidio colpisce sempre per la brutalità che esprime e per il tormento così difficile da comprendere e da condividere nella sua scelta finale.

Simon Axler, il protagonista, inizia un soliloquio fra sé e sé rispetto al crollo esistenziale che avverte quando, del tutto inaspettata, compare la sua incapacità di recitare. A più di sessant’anni può capitare di avere qualche inciampo, ma questa volta è diverso: il grande attore “vedeva il proprio crollo con la stessa lucidità con cui si vedeva recitare. … Non sapeva come passare da un minuto all’altro, era come se la mente gi si stesse liquefacendo, aveva il terrore di stare da solo, non riusciva a dormire più di due o tre ore per notte, mangiava appena, ogni giorno pensava di ammazzarsi con l’arma che aveva in solaio – un fucile a pompa Remington che teneva nella casa isolata per autodifesa – e nondimeno gli sembrava tutta una commedia, una commedia recitata male. Quando reciti la parte di uno che sta crollando, la tua interpretazione ha un ordine e una coerenza; quando la persona che vedi crollare sei tu, e quella che stai recitando è la tua fine, è tutta un’altra cosa, una cosa spaventosa e terrorizzante”.

Questo l’antefatto: scoprire che l’attore recitante altrui ruoli non sta più rappresentando una finzione, ma la sua stessa indesiderata prigione. “La mattina se ne stava a letto per ore ma, invece di nascondersi da quel ruolo, recitava quel ruolo. E quando finalmente si alzava, l’unica cosa a cui riusciva a pensare era il suicidio, e non la sua simulazione. Un uomo che voleva vivere nella parte di un uomo che voleva morire”.

Capita che improvvisamente nella vita giungano simultanei smottamenti nelle variabili più significative: lavoro, affetti, salute … ma, nella maggior parte dei casi, la precarietà che ne deriva può costituire un nuovo punto di partenza per scoprire uno sconosciuto Sé. Se ciò non accade, le crepe aperte difficilmente riescono a sostenere l’intera impalcatura del corpo e della mente.

La forza inaudita che serve per programmare la propria fine richiede tempo e pensiero. Simon Axler, alla sola idea di “salire le scale che portavano in solaio, caricare il fucile, mettersi la canna in bocca” preferisce telefonare al medico “per chiedergli di provvedere al suo ricovero in una clinica psichiatrica quel giorno stesso”.

Qui “ogni ora di veglia era riempita di attività e appuntamenti per evitare che i pazienti si ritirassero nelle proprie stanze a stendersi sul letto depressi e infelici o si intrattenessero fra loro per parlare dei modi in cui avevano cercato di uccidersi”.

Ed è proprio nella clinica psichiatrica che fra le storie “degli antichi temi della letteratura drammatica: incesto, tradimento, crudeltà, vendetta, gelosia, rivalità, desiderio, perdita, disonore, lutto”, le sedute individuali e di gruppo, le terapie antidepressive, Simon si ritrova ad apprendere la storia di Sybil Van Buren, una bruna trentacinquenne divorata dal rimorso e dalla colpa di non essere stata capace di reagire di fronte a un’orrenda visione e di averne addirittura messo in dubbio la veridicità.

Il quarto giorno mi ero convinta di aver immaginato tutto, e due settimane dopo, mentre Alison era a scuola e lui al lavoro, ho tirato fuori il vino, il Valium e il sacchetto di plastica .. ricordo che non c’era più aria e mi sono affrettata a strapparmi il sacchetto. E non so cosa rimpiango di più: se avere tentato di farlo e non esserci riuscita. … L’unica cosa che voglio fare adesso è sparargli””. Queste le considerazioni della giovane mamma che aveva trovato il suo secondo marito con la testa affondata fra le gambe della figlia di otto anni e accettato la sua debole difesa di “cercare la causa di un prurito lamentato dalla piccina”.

L’uscita dalla clinica non necessariamente riconsegna alla società una persona completamente risorta, ma per lo meno accarezza l’auspicio di riposizionarla sul cammino interrotto dalla crisi.

Simon Axler ora è di nuovo a casa, seduto di fronte al suo agente che tenta di rassicurarlo: “la memoria diventa un grande motivo di ansia per gli attori di teatro che arrivano ai sessanta o settant’anni. Un tempo potevi imparare a memoria un copione in una giornata: ora sei fortunato se in una giornata impari una pagina”.

L’idea del suicidio è un’idea sottile, pervasiva, che ti entra dentro e lavora implacabile. Per un attore della fama di Simon, è facile far scorrere nella memoria i drammi in cui c’è un personaggio che si uccide. “Hedda in Hedda Gabler, Giulia nella Signorina Giulia, Fedra in Ippolito, Giocasta in Edipo Re, quasi tutti in Antigone, Willy Loman in Morte di un commesso viaggiatore … Cassio e Bruto in Giulio Cesare, Gonerilla in Re Lear, Ivanov in Ivanov … E quell’elenco sbalorditivo comprendeva solo opere in cui lui aveva recitato almeno una volta. Ce n’erano altre, molte altre. … Si prefisse di rileggere quelle opere. Sì, doveva affrontare a viso aperto quanto c’era di più spaventoso. Nessuno doveva poter dire che non ci aveva riflettuto a fondo”.

Poi accade un evento nuovo: un incontro col femminile, un femminile insolito, una lesbica quarantenne figlia di attori conosciuti da Simon molti anni prima sulla scena.

Eros e Thanatos si ammiccano. Simon si accende di desiderio, Peegen decide che dopo l’esperienza lesbica ha voglia di un uomo, “quell’uomo, quell’attore che aveva venticinque anni più di lei ed era amico della sua famiglia da decenni”.

Potere del sesso e dell’amore … “presto lui non ebbe più la sensazione di essere rimasto solo al mondo, solo e senza il suo talento. Era felice: una sensazione inattesa. … C’era lui. C’era lei. Le possibilità di entrambi erano drasticamente cambiate”.

I giochi sessuali, l’intimità ritrovata, il desiderio di un nuovo inizio rimbalzano nella testa di Simon, a dispetto delle critiche dei genitori di Peegen per quell’eccessiva differenza di età, della visita dell’amante delusa di Peegen che lo allerta sul suo indomabile carattere, delle scappatelle confessate dalla stessa Peegen, forse orfana della sua inclinazione primaria a favore delle donne.

Nonostante ciò, l’illusione del ritorno ad una vita normale si affaccia con prepotenza, lasciando a Simon il suono di parole pronunciate solo nella fantasia: “Se dobbiamo continuare, io voglio tre cose. Voglio che ti fai operare alla schiena. Voglio che riprendi la tua carriera. Voglio che mi metti incinta”.

Ma il peso delle parole non dette possono avere comunque effetti strabilianti. “La iella era finita. Finiti i tormenti che aveva voluto infliggersi da sé. Aveva ritrovato la fiducia, il dolore se n’era andato, l’abominevole paura era sparita e tutte le cose che aveva perso erano tornate al loro posto. La ricostruzione di una vita era iniziata quando si era innamorato di Peegen Stapleford”. Finalmente la sconfitta dell’umiliazione.

Simon intraprende una serie di visite per capire quali possano essere, alla sua età, i rischi di concepire figli non sani e si rivede nuovamente a calcare le scene, questa volta senza esitazioni e senza flessioni.

Visioni eteree, fluide, vaporose. Deve assolutamente raccontarlo a Peegen quando tornerà a casa, in quella stessa casa dove pochi giorni prima si era orgiasticamente consumato un incontro a tre, quegli “allettanti giochi che molte coppie fanno per eccitarsi e divertirsi”.

Il mondo irreale fantasticato stride nella realtà vera, nella voce di Peegen che gli annuncia “Siamo alla fine … Non è quello che voglio. Ho commesso un errore”… “Lei andò via con la sua auto e il crollo di Axler durò cinque minuti, un crollo prodotto da una caduta che si era voluto e da cui non restava ormai possibilità di ripresa”.

L’idea del suicidio è un’idea sottile, pervasiva, che ti entra dentro e lavora implacabile; “i fallimenti erano suoi, come la sconcertante biografia sulla quale era impalato” questo è il pensiero di Simon dopo l’ennesima umiliazione per la telefonata fatta ai genitori di Peegen per urlare la propria rabbia.

E Sybil Van Buren? Sul periodico della contea era apparso un articolo che raccontava di un famoso chirurgo plastico ucciso a colpi di arma da fuoco dalla moglie da cui era separato. Sybil assume le sembianze di un esempio di coraggio “Se lei è stata capace di farlo, posso farlo anch’io!”.

Come può un uomo decidere di uccidersi?

Questa volta non vince l’uomo capace di scendere le scale del solaio e telefonare di nuovo al medico per il ricovero.

Questa volta predomina l’uomo attore. “A venticinque anni quando, da vero fenomeno teatrale, riusciva in tutto ciò che tentava e otteneva tutto ciò che voleva, aveva interpretato l’aspirante giovane scrittore di Cechov che si sente un completo fallito, un uomo ridotto alla disperazione dalle sconfitte nel lavoro e in amore”.

Il fatto è che Konstantin Gavrilovic si è sparato” l’ultimo biglietto trovato accanto al cadavere dell’umiliato Simon.

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