C’è un tempo per vivere e un tempo per morire.
A Exit si vive il tempo del morire.
Attenzione, la morte per libera scelta, non quella della malattia. Perché per accedere alla lussuosa villa di campagna è necessario produrre una certificazione che attesti l’assenza di depressione o malattie psichiche. Il contratto è chiaro: la permanenza, non più lunga di una stagione, può giungere al termine o col suicidio, o, in caso di ripensamento, con l’abbandono della sede prima dell’arrivo di nuovi ospiti.
E’ ovviamente pattuito che la morte non può avvenire se non per mano dello stesso richiedente: nella villa non si praticano omicidi.
Messa così parrebbe una lettura un po’ macabra, ma l’abilità della scrittrice sta proprio nella scelta di soffermarsi, più che sul singolo candidato e le sue motivazioni per dire addio alla vita, sulle dinamiche del gruppo che si trova a condividere i tre mesi di permanenza prima della fine. E lo fa con tale leggiadria e leggerezza che più volte il lettore sospetta un lieto fine (non previsto).
La parentesi di una stagione si dimostra quale metafora di un gradevole congedo cui non è difficile abituarsi, grazie al godimento dei piaceri garantiti dall’attenta e premurosa vigilanza dei due medici e dell’infermiera, della compagnia delle altre persone accomunate dal medesimo obiettivo, dell’esenzione dall’obbligo di dover spiegare la causa del gesto. Soprattutto perché a Exit in teoria erano in grado di inscenare o ricreare qualunque genere di suicidio, fantastico, storico o letterario che fosse.
Il progetto prevedeva che ciascuno potesse scegliere la morte che più desiderava, con l’ausilio della più affidabile consulenza medica, optando una teatralità del passaggio finale consono allo stile prescelto. “Sono venuta qui per suicidarmi in modo originale, personalizzato, confortevole e poco traumatico – esattamente come promette la vostra pubblicità”
“Perché qui mi è stato insegnato che è possibile farlo nel migliore dei modi, senza scomporsi, senza gridare dal terrore, lasciandosi portare da un sogno, senza sentirsi soli”.
Parrebbe che la morte desiderata trovi finalmente modo di esprimere ciò che nella vita non si è realizzato, una messa in scena che diventa la realtà agognata. Nulla si sa della biografia dei convitati: caratteri, personalità, inclinazioni emergono pian piano nello scorrere dei giorni, fra passeggiate nel parco, musica, pranzi raffinati, chiacchiere e nascite di irrefrenabili passioni. Non vi è nulla da perdere e nessun freno per ciò che la vita può ancora offrire. Seguiamo le ultime giornate di persone di diversa estrazione sociale: l’alto finanziere, il poeta, due bellissime giovani lesbiche e amanti, il ferroviere, la vedova, il clochard. E in questi succulenti ed erotici pomeriggi estivi la missione finale arriva come l’inevitabile scoccare dell’ora di un appuntamento inderogabile, richiamando l’attenzione degli organizzatori per allestimenti non sempre facili da realizzare.
Voleva morire come Giulio Cesare. Né più né meno. Chi poteva supporre che un uomo così umile e discreto se ne venisse fuori con un’idea del genere? Come tutti sanno, però Giulio Cesare non si era ucciso. Solo che al signor Ottosillabo la questione pareva secondaria. Aveva pagato il soggiorno perché trovava il progetto di Exit eccellente ...se qualcuno doveva vestirsi da antico romano e dargli qualche pugnalata, il problema non riguardava lui, riguardava unicamente i responsabili dell’organizzazione.
O la bella Clarissa che vuole uccidersi come Madame Bovary. “Col veleno?” “Col veleno e tutta la manfrina. Un suicidio letterario preso alla lettera”. Quel suicidio presentava non poche difficoltà. Data la sua esposizione per scene staccate, e la sua sostanziale concisione narrativa, l’episodio doveva essere largamente rimaneggiato.
Per non parlare di Eugenius: “L’importante per me è il sepolcro” “Intende dire un monumento funebre?” “Quello che voglio è una piramide. Voglio perdurare come i faraoni … Vi basterà accompagnarmi in solenne processione senza dimenticare di introdurre gli oggetti personali che io vi indicherò, insieme a cibo e buoni vini all’interno della piramide”.
Nella splendida villa dieci camere si aprono sul corridoio … la prima, ornata di pizzi e quadri antichi. La seconda ha un’aria alpina .. La terza è tutta rosa. La quarta, di ispirazione marinara … La sesta moderna e funzionale … La settima ricorda la cella di un monastero. L’ottava propende per uno spumeggiante stile Luigi XV. La nona è tutta specchi. La decima accoglie robusti mobili di rovere e quando sta per scadere il contratto l’organizzazione richiede praticità:
“Signori, abbiamo pochi giorni di tempo e non possiamo fare a meno di entrare in argomento. Quanti di voi hanno deciso quando e come arriverà il trapasso?”.
Perché la nuova stagione è in arrivo e uomini e donne annoiati o stufi della loro esistenza attendono. Perché “Ci saranno sempre ospiti a Exit, sempre”.
L’ha ripubblicato su MAPPE nelle POLITICHE SOCIALI e nei SERVIZI.
Ciao Paolo e Tartarugosa, l’argomento così trattato da Alicia Giménez B:se ne sta lì, in un angolino, anche sotto i miei capelli e mi fa compagnia. Ho letto la recensione che ne fa Tartarugosa con interesse e stante l’argomento l’ho assai gradita. Leggera, garbata, non “attraente” e seducente, certo che no, un blandire carezzevole. Una carezza di conforto. Grazie, cari saluti, Rosege
grazie, Rosege, per l’attenzione. Tartarugosa sarà contente delle tue parole !!!