Poco conosciuta, pochi i suoi romanzi tradotti in italiano, Violette Leducè una scrittrice dalla vita tormentata e incapace di adattarsi al mondo quotidiano.
Nata nel 1907 in una cittadina francese da una domestica sedotta dal figlio del padrone, a quattordici anni sarà dalla stessa mandata in collegio, dove scoprirà le sue prime pulsioni di desiderio verso una compagna di classe che sfoceranno nel romanzo Thèrese e Isabelle.
Violette è una donna ribelle, insofferente alle regole, artefice della propria costruzione di mostro, o di donna brutta (femme laide, scriverà di lei Simone De Beauvoir), supportata da un caratteraccio impossibile, dalla povertà e dalla vicinanza alla follia.
Eppure la sua scrittura è unica, tale da richiamare l’attenzione di Simone De Beauvoir, disposta a versarle una cifra mensile pur di permetterle di scrivere a tempo pieno.
Violette nei suoi scritti descrive con un linguaggio unico, lirico e carnale i suoi amori infelici, le sue esperienze lesbiche, i suoi innamoramenti di omosessuali, il fallimento del matrimonio e l’aborto, tutte relazioni sbagliate.
Resterà, prima di tutto per se stessa, quella “bastarda” che ha dato il titolo al libro che l’ha resa famosa e che porta la prefazione proprio di quella Simone di cui si è perdutamente innamorata, ma dalla quale non sarà mai contraccambiata.
“Violette è “affamata” di Simone (L’affamata, 1948, è un’appassionata dichiarazione di amore folle e impossibile, che invade la vita e diventa scrittura: “Quando vi presenterò il mio quaderno saranno i baci che non vi darò mai”.) Simone, decisa, calma, razionale, è affascinata dal talento e dalla sincerità di Violette, ma respinta dal suo aspetto e conscia della sua nevrosi al punto da trattarla da “caso clinico”.
Questo pare il destino di Violette, essere di talento per i critici (Sartre, Genet) ma ignorata dal pubblico, cercare affetto ma essere respinta. “Legge e scrive avidamente, perché Violette è un’affamata. Di vita, di amore, di persone, di emozioni. E’ bulimica nella sua affettività. Ama e odia, avvicina e poi allontana, graffia, scalza, si lamenta, petulante come pochi”
“Quella di Leduc è letteratura dello scandalo, dell’eccesso, di quella parte maledetta che mette l’uomo di fronte alla miseria di cui è fatta la sua stessa vita.
Ma è anche letteratura della libertà, la libertà di scrivere d’amore senza nascondersi dietro alle parole, accettando il rischio della censura senza piegarsi a qualsivoglia perbenismo di facciata.
A-morale, irriverente, controversa, incomprensibile, paranoica, Violette Leduc ha gettato il seme per un nuovo modo di scrivere il femminile, nutrendosi dell’importate appoggio dei filosofi esistenzialisti, Simone de Beauvoir in particolare, ma con la straordinaria capacità di sporcarsi le mani della materia con cui è fatto il dolore di ogni donna”.
Quando proprio con La bastarda arriverà il successo Violette lo accoglierà con diffidenza, anche se finalmente i soldi – lei, tirchia per necessità – le permetteranno di acquistarsi una casa a Faucon, in Provenza, unico luogo che la metterà in contatto con la natura e la terra, facendole ritrovare un po’ di pace e serenità. Troverà la morte proprio qui, nel 1972, per un cancro al seno.
“Me ne andrò come sono arrivata. Intatta, carica dei difetti che mi hanno tormentata. Avrei voluto nascere statua, invece sono una lumaca sotto il suo strame. La virtù, le qualità, il coraggio, la meditazione, la cultura. A braccia conserte, mi sono spezzata contro queste parole”.
L’appassionata biografia tracciata da Tarabella riporta in Appendice anche alcuni articoli di Leduc comparsi sulla rivista Pour Elle.
Inoltre la vita della scrittrice è raccontata nel film “Violette” (2015) di Martin Provost, già conosciuto per il successo di Séraphine.
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