Di Cristina Peri Rossi non sono riuscita a racimolare molte notizie: scrittrice nata a Montevideo nel 1941, nel 1972 dovette fuggire dalla dittatura militare: banditi i suoi libri, esautorata dalla professione di giornalista, licenziata dalla cattedra di letteratura, i militari golpisti ritirarono persino la sua nazionalità uruguaiana. Dal 1975 vive in esilio a Barcellona.
Julio Cortazar, definito l’Italo Cavino latinoamericano, è stato suo mentore,maestro, amico, nonché amante e, folgorato dalla sua scrittura, le dedicò molteplici poesie sull’amore irraggiungibile.
Scrittrice di racconti, romanzi, poesie e saggistica ha vinto numerosi importanti premi letterari, ma delle opere prodotte, pochissime sono state tradotte in italiano. Fervente lottatrice contro le dittature, sostiene femminismo e diritti degli omosessuali. Ha un blog (www.cristinaperirossi.es).
Il libro di racconti brevi “Il Museo degli Sforzi Inutili” è un condensato di pagine fortemente allegoriche, almeno questa è la sensazione che molte delle vicende descritte mi hanno suscitato e che mi hanno spinto a cercare di approfondire la personalità di questa donna.
Difficile definire il genere della sua scrittura, talvolta surreale sino a rasentare il metafisico e comunque denso di riferimenti, anche comici, di situazioni paradossali che racchiudono nevrosi e ossessioni di personaggi “a lato” della vita quotidiana, ma che di questa ne mostrano contraddizioni, patimenti, deviazioni.
Magnetico, mi ha letteralmente sedotto sia per la lirica del linguaggio, sia per le storie scelte come metafore di sentimenti universali. A partire dal primo racconto, che dà il titolo al libro: il Museo in cui ognuno di noi avrebbe molto da stoccare, se non fosse che “solo una minima parte degli sforzi inutili riesce ad arrivare al Museo … l’esorbitante quantità di sforzi inutili fatti continuamente richiederebbe che mota gente vi lavorasse” e anche perché ”E’ molto strano che gli sforzi inutili si ripetano, ma nel catalogo non li si include: occuperebbero troppo spazio”.
Coinvolgenti per l’ambientazione, L’atleta che inciampa e Istruzioni per scendere dal letto rimandano al desiderio di “mollare la presa”.
Nel primo, il fondista che “davano come favorito e pronosticavano persino un record” proprio quando sta per dare, al penultimo giro di corsa, la conferma alle previsioni “provò un desiderio enorme di fermarsi …l’estasi di lasciarsi cadere; la divina, sublime estasi di fermarsi, di scivolare dolcemente verso il bordo, il bordo della pista, a pochi metri dalla fine, appena un po’ prima del traguardo … lasciarsi andare … volgere gli occhi verso l’alto e contemplare il cadenzato volo degli uccelli”, mentre intorno a lui si scatena il putiferio.
Nel secondo, nascosta tra le pieghe di una minuziosa descrizione dei passi necessari per alzarsi al letto e prendere contatto con la realtà esterna, l’autrice mostra, senza sconti, la tetra banalità della ripetitività dei gesti che riempiono la nostra vita. Seguiamo lo sguardo e il pensiero del protagonista: “Quando riesco a scendere (dal letto), la prima sensazione che provo è di allegria: sono molto orgoglioso di avercela fatta…. Presto, l’allegria scompare: per terra la vita è molto difficile. In primo luogo gli uomini stando tutti in piedi si sentono simili e questo li rende molto ostili fra loro … quando sono nel letto, nessuno mi chiama in causa: si misurano fra di loro, come se io fossi un oggetto fra tanti, un lume o un armadio … Confuso e in preda all’angoscia, torno a letto rapidamente. Lì mi rannicchio fra le lenzuola, riparato e protetto”.
La dimensione del dolore traspare in parecchi racconti in forma prismatica ed esaminata da diverse angolazioni.
Ne: “Il tempo tutto lenisce” al banco dei pegni incontriamo un acquirente e un venditore di tempo. C’è chi vuole comprarlo: “Mi servirebbe una bella fetta di tempo … Me la metta sulle ferite: me ne vado subito a letto e spero di svegliarmi guarito” e c’è chi vuole venderlo “A me è molto scomodo … mi piace ammazzarlo in molti modi, gettarlo dalla finestra, dilapidarlo, farmelo esplodere fra le mani”. Quando credi di non averne bisogno è superfluo, da buttare, quando invece ne hai bisogno potresti considerare quella stessa porzione mercanteggiata “un tempo inutile, un tempo accessorio, ma che avrebbe risanato i tessuti”.
Anche nella Storia d’amore ci imbattiamo nel lento, smisurato soffocamento di un rapporto di coppia totalizzante, dove in virtù del dedicare la propria vita all’altro, la simbiosi che si viene a creare ci presenta un uomo curvo, schiacciato dalla presenza della sua donna issata sulle spalle che, per non staccarsi mai, emette un liquido vischioso ineliminabile. “Disse che mi amava e mi donò la sua vita. …Non esistono vite leggere. Sono tutte difficili da portare. … Sotto il peso della sua vita, io avanzavo chino … quand’anche passasse qualcuno io non lo vedrei, piegato come sono per il peso. So che presto morirò”.
Ma il dolore insegna anche il dono della cura. Ne Parlare al muro, nel corso della notte, un uomo trova una porta maltrattata e ne ha pena “La sollevò come poté, perché era semisvenuta, priva di forze e pesava molto. …A casa la sistemò per terra, lunga quant’era, mentre andava a cercare un panno per pulirle le ferite, le ammaccature che si era fatta…Lo fece dolcemente e coscienziosamente, senza affrettarsi … La pittura disuguale si poteva correggere con nuovi cosmetici; erano in vendita in qualsiasi negozio. Per quanto le cicatrici non fossero facilmente occultabili, non pensava che dovessero angustiarla più di tanto: le conferivano carattere e maturità, cose che a questo mondo non abbondano”.
Alcune similitudini le troviamo in Lettere e Aeroporti. In queste due storie l’oggetto concerne la dimora. Nel primo racconto l’essere senza domicilio del protagonista lo porta a discutere col postino perché delle molte lettere che gli vengono scritte, lui non ne riceve alcuna:” Ricevo molte lettere e mi spiace non poter rispondere alla maggior parte, dal momento che non ho un domicilio stabile né la macchina da scrivere…. Non m’importa se qualcun altro riceve le lettere destinate a me o se qualcuno le legge al posto mio; mi basta sapere che molta gente mi scrive senza sapere nemmeno dove sto … io so che c’è gente che le scrive ed è sempre possibile leggerle sulle ali degli uccelli o nel fondo di una bottiglia o sulla sabbia umida del mare”.
In Aeroporti, invece è descritta la vita dell’aeroporto, con i suoi viaggiatori e le diverse sensazioni provate verso gli spostamenti. Ci si sofferma in particolare a narrare “ il curioso congresso dei viaggiatori che non sono mai riusciti a partire…. Tutti gli invitati non erano mai riusciti, per una ragione o per l’altra, a partire dall’aeroporto … Presidente Onorario un tale che aveva cercato di partire dall’aeroporto di Copenaghen per ben venticinque volte, senza riuscirvi” e, colui che raggiunse la maggior popolarità, invece, fu “un viaggiatore frustrato di New York, che aveva affittato un locale inutilizzato dell’aeroporto Kennedy per curarvi i suoi affari, ricevere visite e trascorrere il tempo libero”.
Di una cattiveria atroce La pecora ribelle e L’effetto della luce sui pesci.
Il primo parte innocuamente con la conta delle pecore che saltano lo steccato per facilitare l’arrivo del sonno. Ma in questo espediente emerge lo spirito ribelle di una pecora, che non vuole gregariamente assimilarsi al comportamento delle altre. A nulla valgono gli incitamenti a compiere il gesto: “Salta maledetta … Non ascoltava il mio grido, brucava vicino allo steccato, senza guardare oltre”. Il protagonista, che detesta la violenza, cade progressivamente in una rabbia inaudita che ci conduce al finale tragico: “la pecora spirava, sarebbe morta da un momento all’altro senza saltare, le assestai un altro colpo là dov’era rosea, la morbida carne, la delicata carne di pecora che non finirà più al mattatoio, perché non ha saltato, perché non ha capito che lo steccato era un ostacolo superabile”.
Altrettanto sconcertante per la crudezza contenuta è L’effetto della luce sui pesci. Qui il protagonista narra il fascino di vivere con una vasca di pesci, scelta che ha cambiato radicalmente il suo stile di vita. “Adesso torno a casa subito, quando esco dal lavoro, ansioso di sedermi di fronte alla vasca, a guardare i movimenti ipnotici dei pesci, sospeso io pure, nell’acqua piena di barbigli e filamenti”. Addirittura gli pare che la sua compagnia sia apprezzata, che forse lo riconoscono. In queste maniacali osservazioni si accorge di un comportamento dapprima sconosciuto: i pesci lottano fra loro.“ Adesso rincaso subito, specialmente da quando ho scoperto che la vasca mi riserva un meraviglioso svago: contemplare i pesci che si divorano fra loro. .. non tollero più visite … una volta che invitai due amici … non se ne sarebbero più andati via: erano intenzionati a starsene in poltrona finché uno dei pesci non avesse inghiottito l’altro. … Giunsero a implorarmi di lasciarli rimanere fino alla fine”.
Di entrambi arrivano come strali la naturalezza del male e la sottile linea di confine che ci divide dal diventare mostruosamente efferati.
In totale sono trenta le storie che riempiono le pagine di questo testo, dove ognuno, abbandonandosi, potrà trovare significati e simboli dei tempi che abitiamo.