TartaRugosa ha letto e scritto di: Laura Imai Messina (2024), Tutti gli indirizzi perduti, Einaudi, Torino

Di Awashima – minuscola isola del Mare interno di Seto – e del suo Ufficio Postale alla Deriva, Laura Imai Messina aveva già accennato nel suo libro Giappone a colori: un ufficio tinto di grigio, il colore della solitudine, destinato a ricevere lettere indirizzate a persone che non le leggeranno mai.

Quel luogo ora ritorna ad avere un ruolo primario nel suo ultimo romanzo, letteralmente divorato, e che, inevitabilmente, mi trascina verso un altro indimenticabile luogo – il telefono del vento – anch’esso diventato sua opera dal titolo Quel che affidiamo al vento.

Prima di addentrarsi nel romanzo, è utile conoscere la storia della nascita: un vecchio ufficio postale ormai in disuso venne ceduto per una manifestazione artistica, nata con l’obiettivo di rivitalizzare le isole sempre più spopolate del Mar del Giappone. Una giovane studentessa dell’Università delle Arti, Saya Kubota, propose di creare un’installazione adibita alla raccolta di tutte le lettere spedite a chi un indirizzo non lo possiede e al loro archivio in cassette postali oscillanti al soffitto che, emettendo il suono delle onde in movimento, avrebbero simulato quello della deriva (da cui il nome di “Ufficio Postale alla Deriva”).

Ogni visitatore avrebbe potuto lasciare un messaggio scritto, ma anche leggere o sfogliare quelli archiviati e, ancora, appropriarsene nel caso avesse percepito un’analogia con la propria storia, diventando quindi simbolicamente il destinatario che quella missiva cercava.

Nakata Katsuhisa è il direttore di questo Ufficio: ha novant’anni e mantiene caparbiamente aperto un luogo destinato ad essere chiuso alla fine della Triennale, per la quale era stato realizzato.

Incredibilmente, infatti, l’Ufficio Postale alla Deriva ha raggiunto una popolarità tale da attraversare tutto il globo: in undici anni di attività sono giunte più di 60.000 lettere dai più disparati contenuti, sensazioni, pensieri, emozioni che vogliono essere narrate anche senza poter essere recapitate all’interlocutore prescelto.

Grazie all’interesse di Laura Imai Messina e alla sua profonda e introspettiva capacità letteraria e poetica, apriamo il suo libro ed arriveremo in questa piccola isola di non più di 150 abitanti nel momento in cui la protagonista Risa vi approda, proritariamente per creare un archivio delle lettere senza indirizzo che si sono accatastate nel corso del tempo – “Awashima è l’indirizzo che ha preso in carica tutti gli indirizzi perduti della terra”, – ma anche perché:

c’era un altro motivo … esisteva la possibilità concreta che ad Awashima fossero arrivate proprio dal suo passato parole indirizzate a lei soltanto”.

Scopriremo lentamente la sua storia: Risa è figlia di un padre postino, scrupoloso e attento affinché nessuna delle lettere andasse perduta, da cui eredita la stessa dedizione in tutto ciò che fa (lo impariamo dalle prime pagine, quando ancora bambina si perde per consegnare una lettera) e di una madre imperfetta, che le ha instillato paure profonde relativamente alla maternità e all’angoscia di diventare lei stessa portatrice della sua malattia psichica, di origine ignota.

Madre cui ha dovuto rinunciare sin da piccola:
La fatica di vivere di sua madre era una cosa che usciva dai cartoni del latte la mattina a colazione, che si depositava insieme alla polvere sui libri di suo padre, qualcosa che ti trovavi nel bel mezzo della cena mentre lei si accasciava con il volto affondato in una minestra, o ancora all’alba quando serviva andare a recuperarla perché vagava da una stanza all’altra con la borsa a tracolla, i piedi scalzi e recitando il proprio nome, data e luogo di nascita come fosse alla frontiera”.

Era però quella stessa madre che l’aveva spinta a “credere che quanto non si vede, non si tocca e non possiede un nome possa essere persino più importante di ciò che invece si vede, si tocca e ha una voce dedicata nel vocabolario … e che è dall’incontro con gli sconosciuti che può nascere lo straordinario”.

Risa, grazie alla professione paterna e alla sua sensibilità, ha sempre avuto un rapporto speciale con le lettere, soprattutto per quelle che, per motivi diversi, erano candidate al macero e da lui salvate, addolorato da quella fine poco gloriosa.

Già da ragazzina gli aveva posto delle domande sulle origini di quegli scritti:

– “Ma perché le persone scrivono queste lettere se poi non c’è nessuno a leggerle? Lo sanno che le lettere non arriveranno da nessuna parte, no?”

– “Sì, lo sanno. Lo fanno perché, immagino, scrivere le fa sentire bene” … “Sono messaggi in bottiglia lanciati senza troppe illusioni nel mare, tutto il senso dello scrivere queste lettere è precisamente scriverle. Scriverle per scriverle, non perché vengano lette”.

Ulteriore obiettivo, pertanto, è portare all’Ufficio Postale anche tutte le lettere mai recapitate, conservate dal padre.

L’incontro con il direttore dell’Ufficio, il novantaduenne Baba, risveglia quelle sensazioni. Lo stupore dell’uomo nel verificare che ogni giorno arrivavano nuove lettere da tutte le parti del mondo gli fa abbandonare l’idea di una ‘stramberia’ letta sui giornali e finita lì, avviandolo ad analoga conclusione del padre di Risa:

“… le persone hanno bisogno di scrivere. Ho capito che, per alcune di loro, farlo coincide con sopravvivere ci sono persone che vivono meglio quando scrivono all’amante perduto, al padre defunto, al figlio malato oppure a se stesse, nel presente o nel passato … i bambini scrivono ai giocattoli che hanno smarrito, o ai compagni con cui hanno litigato, o agli animali di casa quando scompaiono, pongono a se stessi delle domande enormi e apprendono così la morte”.

Leggendo le lettere, Risa entra nella vita di chi le scrive, scopre le interconnessioni, si imbatte in emozioni profonde. Impara anche a conoscere i residenti dell’isola, le loro abitudini, l’attaccamento a un luogo che va sempre più spopolandosi.

Scopre altresì che il tempo sospeso con l’incarico all l’Università si allunga in continuazione, e la causa non è legata esclusivamente alla complessità della catalogazione.

C’è Takuto e la sua scelta di vivere nell’isola per sempre: la sua discrezione non è disgiunta da un’attenzione continua verso Risa e “al suo sguardo interrogativo sulle cose”.

Una relazione che cresce silenziosamente, nonostante le paure inconfessabili di Risa.

Commoventi interludi epistolari compaiono fra i diversi capitoli della storia, aperture di anime verso persone, luoghi, animali, vegetali, oggetti, velati di nostalgia, malinconia, rabbia, perdono, interrogativi, pensieri, ricordi …

Risa riuscirà, alla fine, a ritrovare le tanto desiderate lettere della madre.

Una ricerca e un ritrovamento dolorosi, pagati a duro costo, ma necessari, come succede per ogni transizione incontrata nel cammino della vita.

Da quel pomeriggio di giugno… avvertì soprattutto il desiderio di tornare a catalogare le lettere rimaste inevase e di leggere quelle recapitate all’ufficio postale alla deriva durante quel periodo. L’idea di riprendere l’incarico all’università, invece, la teneva lontana. Non tentò nemmeno un momento di ingannarsi: la vecchia vita era finita”.

Ma la storia non poteva finire senza che un altro cerchio si chiudesse e così, come per incanto, Risa troverà fra la moltitudine di lettere quella inaspettata, quella che parla proprio di lei e a lei, e sulla cui busta compare il nome del mittente. Questa volta l’indirizzo non è andato perduto. Si tratta solo di decidere a quale parte di Risa quel messaggio era rivolto.

p.s.: L’Ufficio Postale alla Deriva è aperto dal 2022 il secondo e quarto sabato di ogni mese dalle 13 alle 16. Se hai qualcosa da scrivere ecco il suo indirizzo: c/o Hyoryu Yubinkyoku 1317-2 Takumacho Awashima, Mitoyo Kagawa 769-1108 Japan

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.