TartaRugosa ha letto e scritto di: Camila Fabbri (2024), Sani e salvi, EdizioniAdirlab, Napoli, Traduzione di Alberto Montalto

Il realismo magico, caro alla letteratura latinoamericana, mi ha sempre affascinato, probabilmente perché rappresenta un sano contrappunto alla razionalità che guida le mie azioni e sospende, lasciandola galleggiare nelle nuvole, la ricerca compulsiva di una causa.

Attirata da una recensione intrigante, ho quindi ordinato il libro di Camila -poliedrica donna argentina trentacinquenne scrittrice, drammaturga, sceneggiatrice, regista e attrice – il cui titolo spagnolo Estamos a salvo è decisamente più incisivo di quello adottato nella versione italiana.

I racconti (diciassette) hanno tutti in esergo una citazione iniziale tratta da “Documentario Nat Geo” e “Documentario Nat Geo Wild” che introduce al tema trattato nella narrazione relativa.

Con un linguaggio scarno, asciutto, essenziale, Camila ci trascina così dalla visione realistica del mondo in una dimensione attraversata da elementi misteriosi, surreali, dall’effetto straniante, intrecciati, (si può solo intuire tra le righe) alla denuncia di una terra travagliata dalla disparità tra ricchezza e povertà, dall’autoritarismo di un governo totalitario, dai desaparecidos, da famiglie disfunzionali, nonché da quell’imprevedibile inatteso che può sconvolgere l’omeostasi dell’esistenza.

In I rischi che corriamo, a seguito della notizia scientifica che una cellula madre nella scissione subisce più danni della cellula figlia, troviamo una donna depressa in cura psichiatrica il cui pensiero va alla sorella, prossima all’asportazione dell’utero “perché al suo interno è spuntato qualcosa, come quelle erbacce che spuntano sui balconi,sui tetti dei palazzi assai vecchi, luoghi che nessuno guarda più”. La donna depressa vive con la madre, le cui parole non ha voglia di ascoltare perché trova più interessante scrutare sui social le fotografie delle pettinature delle colleghe o le pance ingravidate delle amiche. Pensa all’utero che la madre ancora possiede, dove lei e la sorella si sono formate, il luogo della loro prima casa. E di quella madre, scopriamo essere stata picchiata dal marito. In terra (sa che non sarà l’ultima volta) viene vista dalla figlioletta preoccupata, quella stessa che sta per perdere l‘utero. Nel terrazzo della casa ci sono tante piante che crescono cercando la luce. “Lo fanno in silenzio, senza dirlo a nessuno. Senza attirare troppo l’attenzione”. Quando dopo l’anestesia la sorella si risveglierà ci sarà di nuovo quell’immagine della madre sdraiata per terra e allora chiamerà aiuto. Un’infermiera la rassicurerà, proteggendola. Così potrà rialzarsi in piedi e camminare più leggera, anche se i brutti ricordi non spariscono. “I loro corpi non saranno mai interi”.

In John Sullivan compare il tema del bullismo. Il pugile Sullivan, ultimo campione di boxe a mani nude, parla da un poster appeso al muro rivolgendosi a un ragazzotto grasso e nero che viene picchiato nel cortile della scuola da tre compagne. Gli fornisce “consigli sull’uso corretto del corpo, sulle tattiche per cadere in piedi e parare i colpi con le mani”. Gli dice che “bastava solo sedersi e parlare, proprio come stava facendo lui ora, stampato su un poster attaccato con del nastro adesivo sulla carta da parati del soggiorno”. Il ragazzotto soprannominato “palmi bianchi” dalle tre ragazze bianche, magre e slanciate, avanzerà verso di loro con i pugni chiusi, spaventandole. Poi le inviterà a pranzo a nome di suo padre (il donatore del poster) e ne osserverà lo stupore quando, una volta entrate, constateranno che la sua casa somiglia molto alla loro. Sono sedute tutte e tre sul divano. “Le vedo di schiena e, davanti a loro, il poster di John Sullivan … Credo che riescano a parlare con John perché muovono la bocca tutte e tre … Non le avevo mai viste così, raccolte sull’arredamento di casa mia, a parlare con un poster appeso al muro”.

In Piante senza tutori davanti all’asilo tre donne, diventate amiche durante le attese dell’uscita dei loro bimbi di quattro anni, appaiono in confidenza e facenti gruppo a sé. Parlano chi bene chi male della direttrice dell’asilo. Una quarta madre le osserva, pensando di non rivolgere loro la parola, ma ascoltando interessata i racconti sui pidocchi che possono infestare la testa dei bambini. Improvvisamente si accorge del tempo trascorso: mai tardata così tanto l’uscita dei bambini. Alcuni genitori si spazientiscono, la tensione sale, “Bussavano a turno alla porta perché avevano i pugni arrossati, ormai vicinissimi al sanguinamento”. Dopo parecchio tempo la porta si apre e la direttrice, avanti con gli anni, “si affacciò in tutta la sua figura e ci guardò dritto negli occhi, come una strega d’altri tempi”. Con passi secchi e ritmici dalla porta dell’asilo escono ragazzi e ragazze trentenni. “quelle persone adulte erano i nostri figli, ma cresciuti, trasformati, vissuti … Ce n’era voluto prima che l’asilo aprisse le sue porte, ma alla fine aveva provveduto. Ci aveva restituito la nostra prole”.

L’esergo di Geografia nazionale “Sul nostro pianeta vivono quasi sette miliardi di persone” è un buon preludio per introdurre il panico di Cintia manifestatosi alla notizia che quel giorno, in tutto il pianeta, non era morto nessuno. L’apprensione è così alta e violenta che Cintia non riesce nemmeno a condurre una videochiamata con la sorella e l’amato nipotino, sorpresi dal suo atteggiamento. In preda al totale spaesamento nel vedere tutto il mondo intento a celebrare il giorno della vita, Cintia “prese il portafoglio, contò i soldi, si infilò le scarpe da ginnastica e uscì … la cosa migliore da fare in quel clima in cui la gente eccedeva, era chiudere la porta di casa e cambiare per sempre la serratura”.

Si inanellano altri racconti che, in assenza di temporalità, parlano delle relazioni, ma anche di stupefacenti incroci, tra i protagonisti e vari animali – caimani, gatti, cani, tigri, dinosauri –; alcuni invece fotografano incredibili metamorfosi, aggressioni per futili motivi, sparizioni, maternità in età avanzata, vecchiaia, morti sfiorate per puro caso.

Caratteristica comune delle vicende è che l’elemento magico dell’accadimento irreale può essere solo accettato: i personaggi coinvolti non si chiedono troppe spiegazioni, non se ne stupiscono, semplicemente lo vivono.

Spesso sorpresi a fare i conti col decidere da che parte stare nelle pieghe della vita quotidiana, ognuno di questi incisivi testimoni solitari non soccombe all’ineluttabilità delle minacce e, nella potenza di una non-azione, in un crescendo di mondi fantasticati, stranianti e talvolta contraddittori, dimostra che è possibile resistere.

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