tratto da: Il libro delle case, di Andrea Bajani
Casa di Tartaruga
Lo spazio non è molto,ma l’impressione non è di un luogo angusto. E’ concepito per un unico inquilino, una sorta di monolocale con lo stretto indispensabile.
L’entrata è una sola, sul davanti.
Da lì Tartaruga guarda il mondo; da lì, si ritira.
Sulla parte posteriore ci sono due finestre sempre aperte, da cui entra luce ed escono le zampe. Altre due aperture sulle pareti laterali e una più modesta in fondo per la coda.
Il soffitto è a volta, imponente, pur nelle dimensioni ridotte della casa. Le aperture – anteriore, posteriore e laterali – proiettano sulla volta tutto quello a cui Tartaruga passa accanto. Il mondo è ciò che viene proiettato sul soffitto. Se Tartaruga si muove, la proiezione cambia: la volta si fa schermo,la casa è un cinema ambulante.
Il pavimento, così come tutte le altre pareti, è in materiale osseo. Le piastrelle sono una decina, anche se sembrerebbe un’unica gettata.
E’ austero, ma non freddo, elegante con imperfezioni.
Su quel pavimento, più che camminarci, Tartaruga sta sdraiata. Il suolo che calpesta è quello fuori, su cui lascia le sue impronte.
In generale l’interno è sobrio. L’acustica è quella di una grotta: il rumore del mondo ci resta intrappolato, entra dalle finestre e poi comincia a propagarsi. Si spegne poco a poco, sfiatato fuori lentamente.
Da dentro la casa, i tuoni sono boati la cui eco dura a lungo. La pioggia trasforma l’appartamento in un inferno. Ogni goccia è un rullo di tamburi.
Vista da fuori la casa di Tartaruga è una casa indipendente. Ha un unico piano; niente inquilini sopra e sotto, nessuna interferenza. E’ senza fondamenta, è appoggiata al suolo.
Il tetto è composto di sessanta tegole intarsiate e di colore scuro.
Il bagno è esterno.
La casa di Tartaruga è anche la sua tomba.
Se la trascina dietro a ogni passo, la abita da viva.
Non dovrà spostarsi quando morirà.