TartaRugosa ha letto e scritto di: Valentina Furlanetto (2024), Cento giorni che non torno. Storie di pazzia, di ribellione e di libertà, Edizioni Laterza (BA)

Mi soffermo sul titolo e rifletto sulla duplice veste della parola cento: “Cento giorni che non torno” è la frase sospirata da Rosa durante il suo internamento in manicomio e cento sono gli anni trascorsi dalla nascita di Franco Basaglia, che con la sua tenace lotta si batté affinché quella istituzione fosse totalmente e definitivamente chiusa.

E’ proprio lo scandaglio della vita di queste due persone che fanno del libro-inchiesta di Furlanetto una lettura fondante per riannodare le tappe in cui un’ipotetica utopia poté trasformarsi in realtà. Tali sono il coinvolgimento, la passione e la meticolosità dell’autrice che attraverso le sue parole, vivide e senza censure, ti pare di essere accompagnatrice di quegli anni, o forse è solo il risvegliarsi di analoghe rimembranze del tempo in cui i cancelli si aprivano e insieme ad altri pure io mi trovavo a cercare nuovi cammini di senso.

Siamo catapultati quindi nell’intreccio di due esistenze: quella di Basaglia e della sua lotta per rivoluzionare l’aberrante cultura di allontanamento di coloro che, anche per futili motivi, risultavano essere ingombranti al perbenismo imperante e quella di Rosa, una donna cresciuta non lontana da lui e che, a causa di un grave trauma cerebrale provocato da un incidente d’auto, trascorrerà gran parte della vita adulta fuori e dentro dal manicomio, mostrandoci ciò che dentro quelle mura accade: dosi massicce di psicofarmaci, elettroshock, insulinoterapia, lobotomia, totale assenza di diritti civili.

A Rosa è stato somministrato più volte l’elettroshock: la scarica elettrica fluiva dalla testa ai piedi lasciandola tramortita e inebetita. Sentiva ogni cosa, Rosa: la scossa elettrica che attraversava il cervello, il dolore lancinante, il corpo che perdeva il controllo, l’urina che usciva involontariamente, l’umiliazione di essere trattata come un animale …Guarita? Mai.

Le due vite parallele attraversano gli stessi eventi che caratterizzano il Novecento, povertà, guerra, crescita economica. Pur essendo coetanei e respirando la stessa aria, Franco e Rosa sono però molto lontani per cultura, condizione sociale, economica, e destino.

Rosa non fa una vita comoda, campare non è facile, la famiglia ha pochi mezzi e le privazioni di guerra si fanno sentire … Franco Basaglia studia perché è maschio e perché la sua condizione sociale glielo permette.

Furlanetto descrive la sua ricerca del passato di Rosa con lo sguardo della contemporaneità e con lo spirito affranto di chi, leggendo le centinaia di cartelle cliniche archiviate nei diversi manicomi italiani, coglie il tragico destino comune degli “sgraditi”, siano uomini, ma soprattutto donne:

“… per le donne era più facile che certi comportamenti, considerati sediziosi, non conformi o sessualmente sfacciati, fossero censurati e puniti. … Nell’elenco delle motivazioni di ricovero, nelle cartelle cliniche rientrano “Non aiuta nelle faccende domestiche”, “instabilità di carattere”, “erotomania”, “discinta”, “traditrice”, “esce di casa ogni ora”, “si rifiuta di dormire col marito” “non vuole avere figli”, “non acconsente a sposarsi”, “rapporti sessuali occasionali”, “ruba”, “stravagante”, “ballava e cantava per strada e in casa”.

Pagine e pagine in cui, insieme al racconto delle tribolazioni di Rosa, si intersecano le storie di folli che folli non sono, ma lo diventano fra quelle mura iatrogene, che anziché curare provocano danni irreversibili. Si riportano citazioni dalle cartelle dove vengono scrupolosamente appuntate le osservazioni delle infinite pratiche sperimentali atte a sanare menti bizzarre che, con gli occhi di oggi, non esiteremmo a definire torture sadiche, ciniche, brutali, senza umanità.

Sullo sfondo, il calendario della storia segna i vari eventi che si susseguono intorno ai luoghi di segregazione, nel cui interno tutto è immobile e inascoltato.

Basaglia, iscritto alla facoltà Medicina a Padova e gettato in carcere per manifestazioni antifasciste, avrà la possibilità di meditare sulle istituzioni in generale, arrivando alla costatazione che

L’uomo e il carcere erano, in realtà, il carceriere e il carcerato e l’uno e l’altro avevano perso ogni qualità umana … Tredici anni dopo la laurea, diventato direttore di un manicomio, la stessa sensazione con una differenza, quello che entra in questa istituzione definita ospedaliera, non assume il ruolo di malato, ma di internato che deve espiare una colpa della quale non conosce le caratteristiche, né la condanna, né la durata della sua espiazione”.

Da questo pensiero Franco Basaglia inizia a gettare i primi semi della sua rivoluzione, scompigliando le regole di un’ideologia medica esercitata come alibi per legalizzare una violenza senza controllo: via i camici, via le gerarchie,le inferriate, via il potere lasciato in mano esclusivamente agli infermieri (le cui caratteristiche dovevano essere di sana e robusta costituzione per il corpo a corpo con gli agitati). Inizia il grande processo scientifico e culturale di spostare un paradigma biologico-manicomiale a un paradigma bio-psico-sociale.

La grande intuizione di Basaglia fu quella di iniziare a pensare al paziente non solo come a un “pazzo”,ma come a una persona, che ha bisogno di cure. ma anche di cibo, di una casa, di un lavoro, degli affetti. …Basaglia non era un antipsichiatra, non negava la malattia mentale, ma non la riconduceva ad un ambito solo biologico”.

Parallelamente il progresso della ricerca farmacologica favorisce la messa in discussione dell’intero sistema manicomiale e la volontà di restituire alle persone internate i diritti di malato e, più in generale, di cittadinanza.

Le cose iniziano a cambiare, Negli anni Settanta Trieste (giunta di centrosinistra presieduta dal democristiano Zanetti) diventa il laboratorio di una nuova cultura e Basaglia,con l’appoggio di Zanetti, presenta il suo programma:

le porte dei padiglioni si aprono, nei reparti si eliminano i mezzi di contenzione e le terapie di shock, i ricoverati diventano “ospiti” …Nel 1974 nasce la Cooperativa dei lavoratori uniti dell’ospedale psichiatrico, i malati escono e vivono la città non solo come malati,ma anche come lavoratori”.

E’ il 1978: in Parlamento viene approvata la legge 180 che permette la chiusura dei manicomi.

E Basaglia come vive questo traguardo?

L’autrice ricorda un elemento dai più non conosciuto:

L’approvazione della legge non fu priva di ostacoli e Basaglia non voleva questa norma che tutti conosciamo come legge Basaglia e invece non è neppure firmata da lui, perplesso su molti punti. Non era soddisfatto, avrebbe voluto un’elaborazione più lunga, avrebbe voluto curare di più certi dettagli che non lo convincevano, come ad esempio l’introduzione dei servizi psichiatrici di diagnosi e cura all’interno degli ospedali generali.

La sua idea sempre sostenne che del manicomio si può fare a meno, purché si venga accompagnati”,

Nel 1980 Franco Basaglia muore per un tumore cerebrale,

Furlanetto prosegue stando al passo del tempo che da quella riforma trascorre, arrivando ai nostri giorni dove, sempre di più, non si può parlare di una politica nazionale per la psichiatria, bensì di differenti strategie (alcune virtuose, altre inesistenti) operate delle singole Regioni per la lentissima deistituzionalizzazione dei ricoverati.

Approfondisce il tema dei farmaci, l’uso prevalente del DSM Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, il ritorno dell’elettroshock, l’effetto combinato di disturbo mentale e uso di droghe, i nuovi orizzonti delle terapie magnetiche.

Dopo aver ridato vita a Franco e svelato i segreti di Rosa, Valentina Furlanetto conclude il suo accuratissimo lavoro con queste parole:

penso che per alcuni aspetti in un secolo non è cambiato nulla: chi è diverso, povero, lento, emarginato, bizzarro, strano per molti va normalizzato, o rimosso, cancellato, messo nel recinto perché non è funzionale alla corsa del mondo, alle nostre aspettative, alla velocità di tutti gli altri. Lo facevamo con gli ospedali psichiatrici, continuiamo a farlo con le cliniche private, con le fasce per legare i malati, con i TSO violenti, con le molecole che costruiscono manicomi chimici lì dove un tempo c’erano quelli di calce e mattoni”.

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