“Invecchiare è imparare a perdere”.
Lo pensa Jérome, l’ortofonista che segue Michka per cercare di contrastare l’afasia che la perseguita. Che scherzo del destino per un persona che delle parole ha fatto il suo mestiere di correttrice di bozze!
Come spesso accade, invecchiando, le cose che prima funzionavano, poi non funzionano più.
Le piccole difficoltà che tuttavia non impediscono di abitare il proprio spazio vitale si fanno più impervie e, inevitabilmente, se sei sola e vecchia, devi decidere di affidarti a mani che non sono più le tue.
Di questo epilogo se ne rattrista Marie, l’altra protagonista della storia, vicina di casa e legata a Michka da un rapporto quasi filiale, essendo stata spesso da lei ospitata da piccina a causa di inadeguate cure materne. Marie è perfettamente consapevole del decisivo ruolo rivestito da Michka nel proprio percorso evolutivo e, alla luce di un tempo diventato ormai breve, rimpiange di non averla ringraziata abbastanza.
Grazie, un termine a volte complicato da esternare.
“Gratis“, invece, sarà la parola sostitutiva usata frequentemente da Michka, il cui linguaggio storpiato trascina il lettore in una gara di comprensione di ciò che la nuova ospite della struttura residenziale riesce ancora a comunicare. “Fa pena = va bene“, impareremo a decodificare, inseguendola nella quotidianità reale e nell’immaginazione dove, in visioni oniriche, diventa vittima di un’insensibile direttrice che la tratta alla stregua di un oggetto di marketing.
I suoi sogni li raccontava più volte. Con varianti. O perché il ricordo a poco a poco si precisava o perché lei aggiungeva qualche particolare che riteneva più incisivo, in modo che noi – noi, in grado di andare e venire come ci pareva, noi pienamente padroni delle nostre capacità – potessimo capire la sensazione di terrore che la travolgeva.
Michka sa di aver mollato gli ormeggi. Simpatizza con Jérome di cui, più che gli esercizietti riabilitativi, vuol indagare la storia del suo passato e del rapporto conflittuale col padre. Sa che per lei esistono poche possibilità di recupero:
“Ma io me ne invischio dei sin … dei coì … Capisci, è la parola vera che si squaglia. E poi tutta questa roba non serve a niente, so benissimo come andrà. Alla fine non ci sarà più niente, niente più parole, capisci, oppure una cosa qualsiasi, per riempire il vuoto. Ci pensi? Un monospazio … un monoglotto da vecchiaccia, tutta sola …”.
Anche dal punto di vista di Jérome impariamo che cosa significa lavorare a contatto con le perdite, le battaglie che si intraprendono per arrestare l’ineluttabile, la focosa resistenza alla resa incondizionata.
“ … il suo eloquio si è fatto più lento, più sinuoso, a volte si blocca nel bel mezzo delle frasi, completamente smarrita … Imparo a seguire il filo del suo pensiero . Sono sconfitto. Lo so. Conosco questo punto di non ritorno. … Però non devo mollare. Mai e poi mai. Altrimenti sarà ancora peggio. In caduta libera. Bisogna combattere. Non cedere niente. Né una sillaba, né una consonante”.
Sono pagine eloquenti, quelle della vecchiaia patologica. Eppure pervase dallo spirito di “ciò che resta”, o, come afferma James Hillman, dalla forza del carattere che alberga nell’ultima fase della vita. Michka combatte contro i suoi fantasmi notturni, le dipartite dei nuovi compagni di vita, le inesorabili ricadute. A disposisizione, nel cassetto del comodino, si accumulano le pastiglie delle ore ventidue, ultimo segnale di autodeterminazione che Jérome fatica ad accettare e che Michka così giustifica:
“E’ solo per essere libra …capisci? Solo saperlo. Che è fossibile … andare. Finché c’é ancora vento”.
Il silenzio e la stanchezza sono incombenti, ma restano i conti da chiudere col passato e la voglia di mutare il destino di chi le sta accanto così amorevolmente. Con un linguaggio che diventa sempre più incomprensibile, Michka non demorde e continua ad informarsi sul futuro di Marie e Jérome e ad insistere sulla ricomposizione di legami interrotti.
Non trascura nemmeno il desiderio più recondito di ringraziare chi, nel suo di passato, l’ha salvata dalla deportazione. Perchè, alla fine, il bilancio deve essere chiuso senza lasciare conti in sospeso e questo sarà l’ultimo, immane sforzo in cui Michka si cimenta, vincendo quella battaglia che ogni giorno ricominciava da zero
Perchè gratis è la parola che ci lascia andare tranquilli: “Aveva un’aria serena. Il volto era disteso. Sembrava che si fosse addormentata così, con la certezza di non risvegliarsi”.
Dedicato alle Michka di tutti i giorni che vivono con convinzione il tempo che resta.



bellissima recensione!