TartaRugosa ha letto e scritto di: José Saramago (2003), Le intermittenze della morte, Traduzione di Rita Desti, Feltrinelli, Milano

José Saramago torna con il suo surrrealismo a proporci una storia basata sul “cosa succederebbe se…” e questa volta la protagonista è niente meno che la morte. In un Paese senza nome, dalla mezzanotte del trentuno dicembre, non muore più nessuno.

Nel vortice del classico stile di scrittura di Saramago, quello che costringe a non riuscire mai a prendere il respiro, ci si potrebbe attendere che, sconfitta la morte, ne sarebbe conseguito

il godimento felice di una vita eterna qua sulla terra, era divenuto un bene per tutti, come il sole che nasce tutti i giorni e l’aria che respiriamo.

Invece fra ironia e profonda dissacrazione, ciò che potrebbe rappresentare la realizzazione della sconfitta dell’umano terrore, si trasforma in un nuovo modo per esercitare le squallide abitudini di trarre vantaggio a qualsiasi costo dall’eternità conquistata.

Saramago non risparmia nessuno: la politica, le istituzioni, la mafia, la chiesa, le famiglie, le assicurazioni, le pompe funebri.

Eminenza, mi perdoni, temo di non comprendere dove vuole arrivare, Senza morte, mi ascolti bene, signor primo ministro, senza morte non c’è resurrezione, e senza resurrezione non c’è chiesa.

Come c’era da aspettarsi, i primi e formali reclami vennero dalle imprese degli affari funerari. Bruscamente sforniti della loro materia prima, i proprietari cominciarono col fare il classico gesto di portarsi le mani alla testa, gemendo come in un coro di prefiche. E ora che ne sarà di noi …

Anche i direttori e gli amministratori degli ospedali, tanto dello stato come privati, non tardarono molto a bussare alla porta del ministero degli affari sociali … abbiamo già cominciato a mettere i malati nei corridoi … e tutto indica che in meno di una settimana ci troveremo con le infermerie stracolme

… le case di riposo per la terza e quarta età, quelle benefiche istituzioni create tenendo conto della tranquillità delle famiglie che non hanno né il tempo né la pazienza di pulire mocci, badare agli sfinteri affaticati e alzarsi di notte per portare la padella, anch’esse non tardarono ad andare a picchiare il capo contro il muro del pianto.

ciò che la maphia si proponeva di fare era semplicemente entrare e uscire, ricordiamoci ancora una volta che i pazienti perdevano la vita nell’istante stesso in cui li trasportavano dall’altro lato, da quel momento in poi non avranno bisogno di restare laggiù neanche un momento in più, giusto il tempo di morire… se volevano vivere una vita tranquilla, di chiudere un occhio davanti al traffico clandestino di pazienti terminali e di chiuderli persino tutti e due se non volevano aumentare con il loro stesso corpo il numero delle persone dalla cui osservazione erano stati incaricati.

Dopo sette mesi colpo di scena: la morte fa pervenire nell’ufficio del primo ministro una missiva in cui dichiara

a partire dalla mezzanotte di oggi si tornerà a morire come succedeva sin dal principio dei tempi e fino al giorno trentuno dicembre dello scorso anno, devo spiegare che l’intenzione di interrompere la mia attività, a smettere di ammazzare, è stata di offrire a quegli esseri umani che tanti mi detestano una piccola dimostrazione di cosa sarebbe per loro vivere per sempre … d’ora in poi tutti quanti saranno avvertiti e avranno la scadenza di una settimana per mettere in ordine quanto ancora gli resta di vita

Tutto, con gran sollievo di tutti, torna alla normalità. E se in teoria quello dell’avviso sembra una buona idea, nella realtà non si dimostra tale, poiché a nessuno piace ricevere la temuta lettera di colore viola in cui si legge:

Caro signore, sono spiacente di comunicarle che la sua vita terminerà alla scadenza improrogabile di una settimana, faccia del suo meglio per godersi il tempo che le resta, la sua attenta servitrice, morte.

La caccia al mittente, naturalmente, non porta a nessun risultato. La morte, proprio perché sta dappertutto, non può stare da nessuna parte, e quindi ne risulterebbe l’impossibilità di situare e definire, il luogo da cui è venuta.

Tuttavia, e qui sta il guizzo originale, una lettera non riuscirà ad essere consegnata al proprio destinatario e tornerà al punto di partenza, mettendo la morte nelle condizioni di rinviarla e di riceverla nuovamente indietro per più e più volte.

Quel diavolo di violoncellista, che sin dal giorno della sua nascita era indicato per morire giovane, con quarantanove primavere appena, aveva finito per compiere sfacciatamente i cinquanta.

La morte si arrabbia e dall’ogni luogo dove sta, decide di andare di persona a vedere la casa del violoncellista di notte, osservando minuziosamente tutto ciò che contiene nei vari locali, tra cui un pianoforte aperto, un violoncello, un leggio con tre brani di schumann e lo stesso violoncellista, addormentato sul letto con un cane acciambellato sul tappeto.

Questa morte che lo sta guardando non sa come fare per ammazzarlo.

Occorre preparare un piano e la morte lo fa con accuratezza, diventando donna giovane e affascinante, seguendo il violoncellista a teatro e ascoltando il suo concerto.

Il violoncellista comincia a suonare il suo assolo .. come se si stesse congedando dal mondo, dicendo finalmente tutto quello che aveva taciuto, i sogni infranti, i desideri frustrati, la vita insomma.

La morte, fattasi umana, incontra il violoncellista, gli parla, gli annuncia la consegna di una lettera, gli telefona di notte , gli promette di incontrarlo nuovamente il giorno dopo. Ma non si farà vedere nella data promessa, bensì il giorno successivo, quando ormai non è più attesa dal violoncellista, deluso e arrabbiato con se stesso per essersi innamorato di una donna di cui non conosce nulla, e per la quale lui, invece, non ha segreti. La lettera è sempre al suo posto, pronta per la consegna.

La morte, quasi incredula del suo modo di agire, fa i conti con inattese trasformazioni: la bellezza, l’armonia, i sentimenti, le emozioni le fanno accantonare il suo originario progetto e sarà proprio lei a voler celebrare la vita, incenerendo con un fiammifero la lettera viola dopo una appassionata notte d’amore.

Lei, che non dormiva mai, sentì che il sonno le faceva calare dolcemente le palpebre.

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