Tartarugosa ha letto e scritto di: Camille De Angelis, (2022), Bones and all, Traduzione di Vincenzo Latronico, Mondadori, Milano

Appartengo a quella generazione che, durante gli anni tardo-adolescenziali, nelle domeniche invernali in compagnia di un numero ristretto di amici, amava trascorrere il pomeriggio nelle fumose sale cinematografiche. Il rito era consueto: scorrere le pagine del Corriere, scartare i film da cassetta e scegliere quelli ritenuti “impegnati”. Quanto più indecifrabili, tanto più must da non perdere.

Era di rigore, all’uscita, con le caldarroste in mano, elucubrare su significati e interpretazioni cavillose. Molto spesso, nel caso fosse tratto da un romanzo, non mancava mai la considerazione: “Certo che il libro è molto meglio”, sfoggiando così cultura e sapienza.

Tali ricordi riaffiorano poiché nel caso del libro appena terminato, letto dopo la visione del film di Guadagnino, vige l’inverso “Certo che il film è molto meglio”, chissà se perché nel frattempo sono invecchiata o perché sono i tempi ad essere cambiati.

Il tema del romanzo non nasconde un certo che di macabro, essendo relativo al ben radicato tabù del cannibalismo, ma il linguaggio narrativo evita lo splatter e lascia intuire gli accadimenti solo attraverso inquietanti indizi.

La storia di Maren pertanto non ripugna, ma commuove, esortando il lettore a partecipare – e talvolta parteggiare – alle sue difficoltà incontrate nel prendere consapevolezza dell’ineluttabilità della sua condizione:

Quella sera ho capito che ci sono due tipi di fame. Ce n’è uno che posso soddisfare con gli hamburger e il latte al cioccolato, ma c’è un’altra parte di me che resta in attesa. Può aspettare per mesi, magari anche anni, ma prima o poi dovrò cederle. E’ come se ci fosse una voragine dentro di me e quando assume quella forma là, c’è soltanto una cosa che la possa riempire

e della solitudine con cui è costretta ad affrontare i suoi impulsi (la madre l’abbandona, il padre, scoprirà, è ricoverato in una clinica psichiatrica).

La verità è come le fauci di un mostro, un mostro ben più pericoloso di me. Ti si spalanca sotto i piedi come una voragine, ci caschi dentro, e vieni divorato. Ovviamente mi era balenato per la testa il sospetto che mia madre avesse paura di me … Non mi aveva mai amata vero? Si era sentita responsabile per ciò che facevo, come se la colpa di ogni mia azione ricadesse su di lei che mi aveva messo al mondo. Ogni gesto di affetto che mi aveva riservato nasceva dal senso di colpa, non dall’amore. Per tutto quel tempo in realtà non aveva fatto che attendere il momento in cui finalmente avrebbe potuto lasciarmi da sola.”

La sua caratteristica non è unica. Maren scoprirà che altri, come lei, hanno attitudine per quella “brutta cosa” e nell’incontro con Lee, pure cannibale, nascerà una relazione che porterà entrambi ad arrivare alle origini della loro enigmatica peculiarità.

Nell’esplorazione di se stessa e nel bisogno di perdonarsi ed essere perdonata, il cammino della ricerca di Maren potrà solo confermare che ogni tentativo di redenzione è destinato al fallimento.

Nel film, invece, la trasposizione che Guadagnino ne fa sullo schermo si arricchisce di numerosi spunti.

Troviamo infatti una Maren fragile e impaurita, perennemente in fuga alla ricerca della madre mai conosciuta, e che diventa predatrice solo per difendersi, aborrendo lei stessa questa sua pulsione, ma impossibilitata a sbarazzarsene del tutto.

Simbolicamente ne ho personalmente tratto significazioni molto aderenti al nostro tempo:

– la crescita in assenza del padre, inteso non nell’unico senso biologico, ma proprio come figura mentore di accompagnatore dell’adolescente verso l’adultità; una solitudine ben rappresentata dalle sconfinate campagne deserte che i ragazzi si lasciano alle spalle, nella loro fuga continua da persone e situazioni pericolose, alla ricerca del proprio posto in un mondo disposto ad accettarli per quello che sono;

– la relazione amorosa che nei due ragazzi, consapevoli della loro diversità, diventa lo strumento per sentirsi accomunati, per potersi riconoscere e accettare;

– la diversità, di cui il cannibalismo è quell’estremo simbolo del nostro bisogno di inglobare tutto ciò che vediamo a qualsiasi costo, ma anche la faticosa condizione in cui ci si può trovare nel confrontarsi in un mondo che premia solo il potere e la competizione;

– altri accenni a temi sociali (l’omosessualità, il femminicidio,la violenza, la dipendenza);

– la morte come irrimediabile fine dell’esistenza. Una morte che ci porrà di nuovo di fronte all’inevitabile, ma in questo caso la decisione di Maren di nutrirsi di Lee ferito a morte, obbedendo alla sua supplica, sarà il compimento del suo supremo gesto d’amore.

Lee e Maren, definitivo corpo unico che trascende i limiti della carne, potrà forse rappresentare il passo finale per aiutare la ragazza a sopravvivere in un mondo in cui ci si trova costretti a fare tutto da soli.

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