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Francesco Ghiaccio, Marco D’Amore (2015),
Un posto sicuro,
Sperling & Kupfer
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La narrazione è un modo di ricordare e di fare memoria, tanto più importante quando l’atto del raccontare va oltre l’accadimento personale e porta alla luce un passato che, sia pure in forme diverse, è più che mai attuale e riguarda l’intera umanità.
La vicenda che si svolge a Casale Monferrato, infatti, è una visione parziale: la lavorazione dell’amianto non è solo un fatto italiano, ora che gran parte della sua produzione si è spostata in Cina, Brasile, Russia, India.
A Casale l’Eternit è sopravissuta fino al 1986 la più grande fabbrica italiana dove hanno trovato occupazione oltre duemila dipendenti, attirati dal posto sicuro, una retribuzione migliore di altre occupazioni e la speranza di costruire un futuro di benessere.
L’XI° Festival del Cinema di Como, iniziato proprio ieri con questo film del regista Ghiaccio, ha molti pregi, tra cui anche quello di ospitare registi e attori che possono raccontare la nascita della loro opera, le motivazioni, le difficoltà, le aspirazioni.
“Un posto sicuro” non è un film da cassetta e gli ostacoli da superare sono stati molti, ma l’obiettivo di Francesco Ghiaccio e dell’attore Marco D’Amore di porsi davanti a un passato tragico e di maturare la consapevolezza che bisogna opporsi all’oblio è motivo più che sufficiente per lanciare l’invito allo spettatore di acquisire conoscenza su una vicenda dolorosa, sottovalutata e, peggio ancora, rimasta senza giustizia.
Lo strumento scelto va ben al di là della mera accusa sui danni dell’amianto e la lista impressionante di cifre delle vittime che ancora oggi continua.
E’ il racconto di una storia che coinvolge il rapporto spezzato di un padre e un figlio che solo la malattia condurrà al ricongiungimento.
Ma è anche un racconto che mette in evidenza profondi aspetti psicologici: la reazione alla malattia; la revisione del ruolo genitoriale; la progettualità del morente; la rabbia di chi resta; la resilienza come capacità di evolversi positivamente anche di fronte a eventi catastrofici: l’umorismo come elemento determinante per non essere schiacciati dalla depressione; la narrazione emozionale come momento auto terapeutico per superare l’insoddisfazione esistenziale.
Luca, figlio trentenne di Eduardo, da piccolo, esattamente come suo padre, scopre l’amore per la recita e lo coltiva frequentando la scuola di recitazione e aspirando a calcare il palcoscenico. Ma qualcosa non va nei suoi giri in diverse città e si ritrova di nuovo nella città natale a sbarcare il lunario con impieghi temporanei di animatore di feste “Faccio dei numeri da pagliaccio, delle gag … posso fare imitazioni, posso cantare … sì … tutte le canzoni che vuole” con la solitudine e la delusione in corpo, addolcite da un uso smodato di alcool e una casa in disordine come i suoi pensieri.
Quando un incontro femminile sembra dare sollievo alla sua esistenza, una telefonata notturna lo avvisa del ricovero ospedaliero del padre, figura con cui ha tagliato i rapporti da anni e verso la quale non nutre alcun affetto filiale.
Cionondimeno si presenta in corsia, dove viene avvertito delle condizioni fisiche di Eduardo: mesotelioma avanzato per il quale è ormai sconsigliato l’uso di chemioterapia.
L’incontro fra i due uomini è tutt’altro che semplice: ognuno cova dentro sé rancori, abbandoni e incomprensioni. Eduardo non apprezza le scelte precarie del figlio su cui probabilmente proiettava il suo disegno personale di successo teatrale; Luca rimugina un’adolescenza costellata dall’assenza del padre e dall’infelicità della madre, alla cui morte ha assistito da solo.
L’accorciarsi del tempo che resta e il ritrovamento inizialmente non gradito del figlio innescano in Eduardo profondi cambiamenti: riflettere sulla propria esistenza e sulle mancanze affettive suscitate solo dal desiderio di lavorare e di affermarsi in fabbrica per garantire stabilità e sicurezza alla famiglia “Non sono stato un padre, non sono stato un marito, ho lavorato tutta la vita là dentro e il risultato è che siamo due estranei”; scoprirsi Padre di fronte alle debolezze del figlio e comprendere l’importanza di rappresentare una guida nella costruzione di un progetto possibile “Torna a recitare, eri bravo. Una volta sono venuto a vederti in teatro … Me ne sono andato prima che riaccendessero le luci” “Se tu hai sentito che questo spettacolo è la cosa giusta per te, fallo. Fallo o ti ritroverai un giorno con il rimpianto di non averci provato”; ritrovare l’entusiasmo per la recita e rendersi artefice del recupero della sala parrocchiale in disuso per ripristinare l’antico teatro di paese; utilizzare il ricordo della polvere bianca come simbolo di punto di arrivo di aspirazioni per un futuro solido “C’è stato un periodo in cui eravamo più di duemila operai. Eravamo orgogliosi di lavorare qui, ne andavamo fieri; tutti volevano entrare all’Eternit perché lo stipendio era più alto rispetto a quello delle altre fabbriche, c’era chi si faceva raccomandare o addirittura pagava per essere assunto”; recuperare amici e colleghi per tessere insieme il peso che il ricordo del passato ha gettato sulle loro spalle; sollecitare il compito della testimonianza con tutti i mezzi possibili “Si contavano quasi duemila morti soltanto nella città di Casale. Il calcolo partiva dagli anni Sessanta, quando la notizia aveva cominciato a fare scalpore, ma chissà quanti ne erano morti dalla fondazione della fabbrica nel 1906, senza che il mesotelioma venisse diagnosticato La fabbrica aveva chiuso nell’86, ma ogni anno a Casale si contavano ancora cinquanta, cinquantacinque morti. Un numero che era destinato a crescere sino al 2020 quando, forse, avrebbe iniziato a diminuire. Più di millecinquecento i morti in Italia ogni anno”.
Per Luca il percorso è più difficile e altalenante. C’è la paura di mantenere un rapporto amoroso con Raffaella che più volte caccia via, sdegnando solo apparentemente un’offerta di aiuto; c’è l’incontro misterioso con la fisicità fragile del padre e i gesti della cura nei momenti più critici “Quando Luca fece per abbassare la maglia del pigiama per sistemarla sul ventre, Eduardo allargò le braccia e le poggiò dietro la schiena del figlio, come in un abbraccio. Stettero così per qualche istante, poi Luca si accorse che suo padre lo stava osservando con gli occhi pieni di riconoscenza e amore. Non ricordava di averlo mai visto così. Istintivamente posò la mano sulla testa di Eduardo per sistemargli i capelli. Una carezza che lo rese padre di suo padre”.; c’è il desiderio di dare voce alla sua rabbia inscenando una rappresentazione teatrale di cui però non è del tutto convinto; c’è il timore di aver contratto la stessa malattia del padre mentre un attacco di panico gli taglia il respiro; c’è il dolore del tempo gettato nella smoderatezza; c’è la voglia di rimettersi in gioco dopo la distruzione del materiale raccolto per lo spettacolo; c’è la scoperta che gli altri sono importanti se dai loro ascolto e se sai accogliere le loro vite.
Una storia pesante e leggera che lascia il segno per il messaggio che trasmette, perché il racconto non è solo fiction, ma è realtà vera, sia pure nascosta sotto altri nomi.
Perché Francesco e Marco ci hanno creduto e vogliono tenere vivo il ricordo con ogni mezzo: cinema, teatro e pure libro che nasce subito dopo la realizzazione del film.
Perché nello sforzo del ricordare non entra solo la recriminazione e l’accusa, ma l’avvertimento che si possono fare grandi gesti di educazione positiva al futuro di adulti e di giovani, che forse di questo problema non hanno mai sentito parlare se non in modo superficiale.
Perché è solo entrando nel vivo delle storie che puoi smettere di dire “Non ne sapevo niente” e stupirti delle conseguenze.
Un film e un libro sulla memoria profondamente vitali perché esprimono l’inclinazione dell’errare, il disincanto delle facili certezze e la fatica della riparazione.
Per questo è importante dare loro il necessario credito e farli entrare anche nella nostra individuale memoria.