TartaRugosa ha letto e scritto di:
Alan Bennett (5^ edizione 2006),
La signora nel furgone, Piccola Biblioteca Adelphi,
Traduzione di Giulia Arborio Mella
C’è modo e modo di guardare alla vita. C’è chi si arrovella alla ricerca del senso – sia esso del tempo, dello spazio, del valore che conta, dell’esistere, del trapassare – facendo continuamente i conti col “sistema” cui appartiene.
C’è chi, come ad esempio Miss Shepherd, vive la vita secondo la propria volontà, senza eccessive mediazioni o complicate negoziazioni dettate dai condizionamenti culturali.
Come spesso accade, modificare la prospettiva del punto di vista può alterare o sconvolgere la tradizionale visuale. Può, per esempio, indurre a pensare a nuove formule dei concetti di esistenza, di libertà, di integrazione.
Chi sono? Dove vado? Cosa faccio? Miss S. ha le idee molto chiare su come agire e affrontare i problemi e, con una punta di orgoglio, nonostante le apparenze, non dubita sulle proprie condizioni di privilegio: “Magari mi hanno preso per una vecchia barbona. Lei … era un gradino più su della miseria e riteneva che una delle sue responsabilità nei confronti della società fosse quello di intercedere peri poveretti”.
Nelle scoppiettanti pagine di Bennett, tra le annotazioni diaristiche che l’autore fissa a memoria dell’arrivo del furgone della sessantenne Miss. S. nel suo giardino, emergono uno stile di vita e una percezione della qualità ben più radiose del contemporaneo medio, sempre pronto a rimuginare e a misurarsi con ciò che ancora non possiede.
Conosciamo dunque Miss S. nel suo furgone ridipinto di giallo simile a un impiastro “di uova strapazzate o di crema pasticcera grumosa”. Lei, il problema della sicurezza, l’ha risolto spostando progressivamente il suo furgone dalla strada al giardino di Bennett, appianando anche, con soluzioni fantasiose, l’approvvigionamento di luce e riscaldamento.
E il furgone, di per sé, non è l’unico mezzo di cui dispone. La sua passione per il suo personale tipo di guida le fanno accumulare un discreto “parco-mezzi”: una macchina Mini subito rubata; una Reliant Robin comperata con i risparmi del sussidio; due sedie a rotelle; un passeggino pieghevole; un passeggino pieghevole a due posti.
Miss S. è donna e come tale non del tutto indifferente al guardaroba; la scelta fra gli indumenti proposti dall’assistente sociale è però incentrata sulle reali necessità. Così lei può vantare un discreto assortimento di “gonne telescopiche … spesso allungate più volte, semplicemente cucendo una striscia di stoffa intorno all’orlo, senza particolare attenzione per gli accostamenti” abbinate all’alternanza “di ciabatte di pezza marrone con un paio di décolleté nere”. Più sorprendente e assortita invece l’indimenticabile cappelliera: “un berretto nero da ferroviere con visiera lunga; il berrettino da baseball di Charlie Brown; un cestino di paglia ottagonale assicurato al mento con una sciarpa di chiffon e un pezzetto di cartone per visiera; un pezzo di scatola di cornflakes che le fa da visiera, assicurato da una sciarpa di voile color lavanda; un berretto dell’Afrika Korps preso dall’usato militare; un berretto da golfista; foulards di varie tinte”.
Quanto all’ igiene e alla cosmesi: “quelle bottigliette di whisky? Il Bell’s …non è che lo bevo … lo uso per le frizioni. …la carta igienica …La uso per pulirmi la faccia”. Sì, forse qualche progresso da fare per l’uso del gabinetto, quella “complicata procedura di cui faceva parte il lancio mattutino di sacchetti di plastica fuori dal furgone”.
Ma in fondo ben altro merita considerazione. Per esempio offrire aiuto a Mrs. Tatcher sull’economia “Non vorrei essere pagata, visto che ho il sussidio … Io lo so che cosa ci vuole, è semplicissimo: Giustizia”. E in politica? Fervente anticomunista, Miss. S “nutriva una viscerale avversione per il Mercato Comune … in mancanza di un partito che le fosse del tutto congeniale fondò il proprio, il Fidelis Party”. E per ciò che riguarda il suo rapporto con Dio “E’ uno strano miscuglio di fede tradizionale e pensiero positivo e nonostante i falliti tentativi di prendere il velo – perché “troppo litigiosa”, comunque lei è “assicurata in paradiso”.
Quindici anni passeranno nel giardino di Bennett e arriverà anche il momento in cui Miss S. sente il bisogno di una chiaccherata con i servizi sociali. Con la consueta concretezza comprende che l’età e l’indebolimento della malattia la inducono ad usufruire del centro anziani per almeno un bagno e una visita. “A poco a poco Miss. B. la convince a uscire e a spostarsi sulla sedia a rotelle. I piedi gonfi sono striati di merda, e un brandello di carta igienica aderisce a una caviglia incrostata. … Fa un po’ di storie per controllare che il furgone sia ben chiuso … mentre va via ha intorno come un’aura di signorilità”.
Il ritorno sarà l’ultimo. “Sdraiata fra lenzuola candide poggiate sul cumulo di pattume di cui trabocca il furgono, così verrà trovata il mattino dopo. Morta”.
Le ultime pagine sono dedicate alle riflessioni di Bennett e ai suoi interrogativi sul perché Miss S. avesse deciso di vivere così. E rovistando alla ricerca della busta che Miss S. gli aveva raccomandato “continuai a imbattermi in oggetti che mi facevano pensare che “vivere così” non fosse molto diverso da come vivono tutti”. Che in fondo collocarsi nella curva gaussiana della normalità è solo un concetto statistico e diventa complicato stabilire con esattezza la differenza tra la deviazione standard e la campana centrale.
C’è chi si lascia caricare addosso le sovrastruture addebitando ad esse infelicità ed insoddisfazione. C’è chi, come Miss S. per esempio, non ha avuto bisogno di ideologie per vivere a tutto tondo la sua indipendenza.
Una felice e complementare combinazione con il racconto “Mandami a dire” dell’omonimo testo di Roveredo.